Proverbi napoletani (con traduzione)

Abbiamo  raccolto moltissimi  proverbi e detti napoletani. Qui te li proponiamo in dialetto con la traduzione.



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A  B-C  D  E  F-G-H-I-J  L-M  N  O  P-Q-R  S  T  U-V-Z

A

  • Â altare sgarrupato nun s’appicciano cannele.
Ad altare diroccato non si accendono candele.
  • A barca storta ‘o puorto deritto.
A barca storta il porto diritto.

Non di rado a chi conduce una vita disordinata la fortuna è propizia.
  • A bizzoca è diavulo senza fuoco.
La bigotta è diavolo senza fuoco.
  • A bona campana se sente ‘a luntano.
La buona campana si sente (già) da lontano.

Una persona di autentico valore si riconosce presto.
oppure

I consigli validi provengono da lontano, dalla saggezza degli anziani. La loro sperimentata efficacia è provata dal fatto che si propagano, divenendo patrimonio di saggezza condiviso.
  • ‘A bona parola mògne, ‘a trista pògne.
La buona parola munge, la cattiva punge.

La buona parola produce sempre del bene mentre la cattiva punge e nuoce.
  • A buscia esce ‘ncopp’ ‘o naso.
La bugia esce sul naso.

Pinocchio lo sa bene: le bugie hanno le gambe corte.
  • A cane viecchio zullu zu.
Vezzi moine coccole sono armi spuntate contro il cane anziano, di lunga esperienza, dalla consumata astuzia, rotto a tutti i trucchi. Non inganni, non ti metti nel sacco, non abbindoli tanto facilmente l’uomo esperto; non abboca, non ci casca.
  • A carne ca coce è chelle ca sta chiù vecine all’uosse.
La carne che scotta è quella che sta più vicino all’osso.

Cioè i figli.
  • ‘A carne fa ‘a carne e l’amicizia fa ‘e corna.
La carne fa la carne e l’amicizia fa le corna.

Neppure dell’amico più sperimentato è possibile fidarsi ciecamente se entrano in gioco particolari sollecitazioni – come quelle tentatrici della carne – di fronte alle quali la lealtà più provata può vacillare, sgretolarsi e infine cadere in frantumi; allora i privilegi accordati all’amicizia: fiducia, confidenza, familiarità, assiduità nel frequentare l’amico ed il suo ambiente si trasformano in altrettante occasioni per tradire la fiducia ed approfittarne.
  • A carocchia a carocchia, Pulecenella accerette ‘a mugliera.
Un colpetto dopo l’altro, Pulcinella uccise la moglie.

Una somma di piccoli danni reiterati, col tempo ha un effetto devastante.

Gutta cavat lapidem (La goccia scava la pietra). Proverbi latini 
  • A casa cu’ doj porte ‘o diavolo s’a porta.
La casa con due porte se la porta il diavolo.

Una casa con due ingressi è perfetta per compiere con sotterfugi azioni disoneste, deplorevoli.
  • A casa d”o ‘mpiso nun parlà ‘e corda.
A casa dell’impiccato non parlare di corda.
  • A cavallo ‘e razza nun serve ‘o scurriato.
Con (a) un cavallo di razza non serve la frusta.

Le persone in gamba, intelligenti, intuitive, capaci non hanno alcun bisogno per riuscire di ricevere direttive.
  • A cavallo magro Dio manna mosche.
A cavallo magro Dio manda mosche.

Le disgrazie si sommano alle disgrazie.
  • A ccavàllo jastemmàto le lùce ‘o pilo.
Al cavallo bestemmiato splende il pelo.
A volte, paradossalmente, il maulaugurio produce l’effetto opposto.
  • A ccuóppo cupo poco pepe cape.
In un cartoccio stretto entra poco pepe.

È fatica e tempo sprecato farsi capire dagli stupidi.

Contro la stupidità gli stessi dei lottano invano.
  • A chi pazzèa cu’ ‘o ciuccio nun le mancano ‘e càuce.
A chi gioca con l’asino non (gli) mancano i calci.
  • A chi troppo s’ ‘acala, ‘o culo se vede
Di chi troppo s’abbassa, si vede il sedere.

L’eccesso di umiltà, di arrendevolezza finisce col diventare spregevole e dannoso.
  • A chiàgnere nu muorto so’ làcreme perze.
Le lacrime versate per piangere un morto sono lacrime perse.

Le lacrime non possono richiamare in vita chi è morto.

Non serve a nulla disperarsi se non c’è rimedio.
  • A cicala canta, canta e po’ schiàtta.
La cicala canta, canta e poi muore.

Il lieto vivere senza darsi pensiero del domani si sconta duramente.
  • A collera è fatta a cuòppo e chi s’ ‘a piglia schiatta ‘ncuorpo.
La collera è fatta a “cuóppo” e chi si adira (se la prende) crepa.
  • A coppa ‘o cuoreo esce ‘a correa.
Dal cuoio (lett. da sopra il cuoio) si ottiene (esce) la cintura (così come un utile per se stesso chi amministra, maneggiandoli con una certa “disinvoltura”, i beni che altri gli hanno affidato).
  • A córa è ‘a pèggio a scurtecà.
La coda è la parte più difficile da scorticare.

La cosa più difficile è portare a compimento, ultimare un progetto.
  • A crianza è bona tridece mise all’anno.
La cortesia è buona tredici mesi all’anno.
  • A cuscienze ‘a pastenàiene e nun ascette!
La coscienza la seminarono e non germogliò!
  • A cchi mme rà pane, ie u chiamme pate.
Chi mi dà pane, io lo chiamo padre.
  • A famma fa asci ‘o lupo | da ‘o bosco…
La fame fa uscire il lupo dal bosco…
  • A famma nun tene suonno.
La fame non ha sonno.

Il tormento della fame non permette di dormire.
  • A fatìca d’a fémmena s’a màgna ‘o ciùccio.
Il lavoro della donna se lo mangia l’asino.

L’asino, l’eterno irriconoscente è, agli occhi della moglie, il marito.
  • A femmena bona, si tentata, resta onesta, nun è stata bona tentata.
Se una brava donna resta tale pur se tentata, allora non è stata ben tentata.
  • A femmena ciarliera è ‘na mala mugliera.
La donna chiacchierona è una cattiva moglie.
  • A femmena comme nasce accussì pasce.
La donna come nasce così vive.
  • A femmena è ‘a canzona d”a casa.
La donna è la canzone della casa.
  • A fémmene è comm’au cravone: stutate tte tégne, appicciate tte coce.
La donna è come il carbone: spento ti tinge, acceso ti scotta.
  • A femmena è comm’ ‘o mastrillo aparato.
La donna è come la trappola pronta per essere impiegata (innescata).
  • A fémmene è comme ‘a jatte, scippe pure si ll’accarizze.
La donna è come la gatta, graffia pure se l’accarezzi
  • A femmena è comme ‘o tiempo ‘e marzo: mò t’alliscia e mò te lascia.
La donna è come il tempo di marzo: ora ti accarezza ora ti lascia.
  • A fémmene è culonne, l’omme è fronne.
La donna è colonna, l’uomo è foglia.
  • A femmena è cumme ‘a campana: si nun ‘a scutuleie nun sona.
La donna è come la campana: se non la scuoti non suona.

I sentimenti, l’amore ed il desiderio in una donna vanno sollecitati, destati se si vuole ottenere una risposta.
  • A fémmena mette nu punte a coppe au riàvele.
La donna mette un punto sopra il diavolo; lo batte e lo sorpassa di un punto.

Nella smorfia il diavolo corrisponde al numero 77, la donna al 78.
  • A femmena nun se sposa ‘o ciuccio pecché le stracce ‘e lenzòle.
La donna non sposa l’asino perché le strapperebbe le lenzuola.
  • A femmena senza pietto è ‘nu stipo senza piatte.
Una donna senza seno è come una credenza senza piatti.
  • A femmena tène ‘e malizie ‘nfilate a ciento comme granatelle p’ ‘ogne capillo d’ ‘a capa.
La donna ha malizie infilate a cento come granati per ogni capello della testa.
  • A fissazióne è pèggio d’a malatìa.
La fissazione è peggio della malattia.
  • A forbice è sora carnale d’ ‘a mala lengua.
La forbice è sorella carnale della lingua maldicente.
  • A gatta, che lecca cennere, non le fidare la farina.
A gatta che lecca cenere, non affidare la farina.

Non affidare cose di valore ad una persona indigente o ad un usuraio che divora anche la cenere dei poveri.
  • A gatta d’ ‘e tittole, fotte e chiagne.
La gatta dei tetti, fa l’amore e piange.

Ostentare in modo ipocrita miserie, difficoltà per ottenere vantaggi.
  • A gatta pe’ ghi’ ‘e pressa facette ‘e figlie cecate.
La gatta, per andar di fretta, fece (partorì) i figli ciechi.

Ciò che viene deciso o fatto in fretta non può riuscire bene.

Omnis festinatio ex parte diaboli est. Proverbi latini 
  • A gatta quanno nu’ po’ arrevà’ ô lardo, rice ca fete.
La gatta quando non può raggiungere il lardo (arrivare al lardo) dice che puzza.
  • A légge è fatta p”e fesse.
La legge è fatta per i fessi.

Che ne sperimentano più spesso i rigori, le asperità che i benefici. I desti e potenti dispongono di molte risorse per volgere a loro favore la legge o per farsi valere eludendola abilmente.
  • A legge è eguale pe tutte – recette presutte!
La legge è uguale per tutti – disse prosciutto!
  • A lietto stritto corcate mmiezo.In un letto stretto coricati al centro.
Esortazione alla prudenza per schivare il pericolo a destra e a sinistra: in una situazione difficile bisogna occupare la posizione più sicura.
  • A lo besuogno se canoscene l’ammice.
Nel bisogno si conoscono gli amici.
  • A lo bove morto non fa prode de se le ponere l’erba a lo naso.
Al bue morto non è di alcuna utilità mettergli l’erba (sotto) al naso.

Troppo tardi giunge il rimedio quando una situazione è ormai irreparabilmente compromessa.
oppure

Bisogna prendere atto della realtà sebbene spiacevole, senza ostinarsi a cambiarla se non è più possibile.
  • A lo nfierno è no mutto: Facile è lo descienzo, lo ttornare all’arreto opera perza.
All’inferno c’e un detto: Facile è la discesa, il tornare indietro opera persa.
  • A lu malo metitore le ‘ntóppa ‘a ‘vantèra.
Il grembiule ostacola il cattivo mietitore.

Lo scansafatiche cerca ogni pretesto, anche il più inverosimile, per sottrarsi al lavoro.
  • A lucerna senz’ uoglie se stuta.
La lampada senza olio si spegne.

I sentimenti debbono essere costantemente alimentati
  • A mamma guarda ‘a faccia, a mugliera guarda ‘e mmane.
La mamma guarda il volto, la moglie guarda le mani.

La mamma guarda con gli occhi dell’amore per leggere nel volto del figlio le preoccupazioni che lo affliggono, la moglie guarda con interesse le mani del marito per valutare il guadagno.
  • A mano dritta se serve d’ ‘a mancina.
La mano destra si serve della sinistra.

Talvolta per fare del bene bisogna, con un po’ di spregiudicatezza, ricorrere a mezzi o persone poco limpide.
  • A meglia medicina? «Vino ‘e cantina e purpette ‘e cucina».
La migliore medicina? «Vino di cantina e polpette di cucina».
  • A meglia parola è chella ca nun se dice.
La migliore parola è quella che non si dice.

È sempre più prudente tacere che correre il rischio di parlare incautamente, avventatamente.
  • A meglia vita è chella d’ ‘e vaccàre, pecchè tutta ‘a jurnàta manèano zizze e denare.
La migliore vita è quella dei mandriani, perché tutta la giornata maneggiano mammelle (per la mungitura) e soldi (i proventi della loro attività).

La quintessenza dell’edonismo e del materialismo: il culmine della felicità – nei termini di questa concezione radicale – si attinge occupando l’intera vita nel godimento di bellezze muliebri e nel maneggio continuo di quantità cospicue di denaro.
  • A mmerda sott’â neve nun se vede.
Le deiezioni sotto la neve non si vedono.

La prudenza è necessaria sempre: non pochi sono abili nel nascondere con perfetto mimetismo la loro vera natura sotto le più candide apparenze.
  • A monaca d’ ‘e Camaldule muscio nun ‘o voleva, ma tuòsto diceva che lle faceva male.
La monaca dei Camaldoli floscio non lo voleva, ma duro diceva che le faceva male.

variante:

  • A monaca ‘e Casale: muscio nun ‘o sentèva e tòsto le faceva male.
La monaca di Casale: floscio non lo sentiva e duro le faceva male.

Una persona incontentabile, perennemente insoddisfatta e ipocrita.
  • A morte è ‘na pazzia: stiénne ‘e ccosce e t’arrecrìe.
La morte è quasi un gioco: stendi le gambe e finisci di soffrire.
  • ‘A morte nun tene crianza.
La morte non ha buone maniere.

La morte, inesorabile, ghermisce chi vuole, come e quando vuole, senza tante cerimonie.
  • A morte va ascianne ‘a ccasione.
La morte va cercando l’occasione.
  • A mugliera è cunfessore ‘e notte.
La moglie è il confessore di notte.

Come il sacerdote, la persona con cui potersi confidare certi della sua lealtà.
  • A mugliere è ssiconde pane: vène, tt’accarezze e tt’u leve a mane.
La moglie è (un) secondo pane: viene, ti carezza e te lo toglie da mano.
  • A ‘mmiria smafara lu mazzo.
L’invidia stura il deretano

L’invidia sfoga dal suo stesso culo.
  • A ‘o mumento d’ ‘o besuogno ‘e meglio amice so’ ‘e denare.
Nel momento del bisogno i migliori amici sono i soldi.
  • A ‘o ricco le more ‘a mugliera, a ‘o pezzente le more ‘o ciuccio.
Al ricco muore la moglie, al pezzente l’asino.

Privilegi ed ingiustizie anche nella disgrazia: il patrimonio del ricco non viene diminuito se non è addirittura accresciuto. Il povero, invece, perdendo la sua sola fonte di sostentamento, perde tutto.
  • A palla spaccate fa u meglie seie.
La palla spaccata (cioè il figlio peggiore) fa il migliore «sei» (cioè il miglior punto; ossia la migliore riuscita).
  • A pànza è de pellécchia, cchiù ce miétte e cchiù se stennécchia.
Lo stomaco è molto elastico: più lo riempi e più si dilata.
  • A preta piccerella ‘mmèrteca ‘o carro.
La pietra piccola fa ribaltare il carro.

Mai sottovalutare niente e nessuno: basta un errore, anche molto piccolo, perché venga a galla una lunga serie di malefatte, e nello stesso modo è possibile che una persona apparentemente modesta ed insignificante rovini la reputazione e la posizione di un potente che goda fama di specchiati costumi.
  • A pùppece è comme ‘a pàppece, spertose ‘a capa a ll’uómmene.
Il pube (o la prostituta) è come il tarlo, buca la testa agli uomini.
  • A reto me faje murì’; â nanze me faje fuì’, A reto bene mio; â nanze Gesù e Maria!
Da dietro (quando siamo soli) mi fai morire; davanti (in pubblico) mi fai fuggire. Da dietro “Bene mio”; davanti “Gesù e Maria!”

Appassionata audace e spregiudicata in privato; virtuosa, inaccessibile, irreprensibile coram populo.
  • A Sant’Andulino‘o sole p’ ‘e marine.
Per la ricorrenza di Sant’Antonino, il sole di primavera (già splende) sulle spiagge della costiera.

Proverbio di Sorrento.
  • A sante nu’ fa vute, e a criature nu’ prummettere.
A santi non fare voti e a bambini non fare promesse.
  • A sante viecchie nun s’appicciano cchiù lampe.
A santi vecchi non si accendono più lampade.

Chi da giovane era rispettato perché potente e influente da vecchio – divenuto inutile – verrà trascurato.
  • A tristezza è ll’ombra d’ ‘o diavulo.
La tristezza è l’ombra del diavolo.
  • A vìpere ca muzzecaie a mmuglièreme, murette ‘i tuosseche.
La vipera che morse mia moglie morì avvelenata (di veleno).
  • A vita è comme ‘a scala do vallenaro: è corta e chiena ‘e merda.
La vita è come la scala del pollaio: è breve e piena di merda.
  • A vita è ‘n’affacciata ‘e fenesta.
La vita è un affacciarsi alla finestra.

Breve è la vita, una fugace visione che presto dilegua.

Porpora e rosa: egual destino; belle | fin che durino gocce dell’aurora; | ma che il Padre dei vivi le dardeggi | d’un solo raggio, e vedile avvizzire. | Breve è la vita ai fiori; orgoglio, fasto, | al mattino, e la sera già decade | loro impero e calamità li reca | a trista morte.
  • A vita è ‘n’arapute i cosce e na nzerrate i casce!
La vita è un’apertura di gambe (della partoriente) ed una chiusura di cassa (da morto)!
  • A votta dà chello che tene.
La botte dà quello che contiene.

Alle persone bisogna chiedere solo ciò che sono in grado dare, non l’impossibile.
  • ‘A vutata d’‘o vico, bonanotte all’amico.
Appena svoltato il vicolo, (puoi anche dire) buonanotte all’amico.

E all’amicizia che, labile e mutevole come tutte le cose umane, finisce.
  • Accossì comme vaje tu si tenuto.
Come vai così sei considerato.

C’a sto siecolo tristo | se nnorano li panne | e non se dice cchiù da dove viene, | si non come tu vai. Perché in questo tristo secolo si onorano gli abiti e non si dice più da dove vieni, ma come tu vai.
  • Acrus est! – Te l’haje ‘a vèvere – dicètte ‘o sacrestano.
È aspro! – Te lo devi bere – disse il sacrestano.
Regolamento di conti fra prete e sacrestano che, non sopportando più i maltrattamenti del primo, ha sostituito il vino con aceto costringendolo a berlo durante la messa.

La lezione che ti viene impartita è dura, ma l’hai meritata e devi accettarla. Più in generale: essere costretti ad accettare un male inevitabile, ingoiare il rospo.
  • Ad arvolo caduto, accetta, accetta.
Ad albero caduto, accetta, accetta.

Tutti infieriscono su chi è caduto in disgrazia.
  • Add’amice e add’ ‘e pariente nun ce’ accatta’ e nun ce vennere niente.
Da amici e da parenti non comprare e non vendere niente.
  • Addò c’è gusto, nun c’è perdenza.
Dove c’è gusto non c’è perdita.

Non contano spese o sacrifici, se una cosa è stata fatta con piacere.
  • Addo’ i’ metto ‘a prora, llà n’jèsce ‘o viento 
Dove io drizzo la prua, di la esce il vento.

Non me ne va bene una.
  • Addo’ ‘nce sta ‘o bbene nun se more
Dove c’è il bene non si muore.

Possibile significato: Dove c’è ricchezza, si è più protetti dal rischio di morire per fame o malattie.
oppure

Possibile significato: Nelle famiglie in cui ci si vuole veramente bene la morte non cancella il ricordo delle persone amate.
  • Addo’ nu’ ‘nce trase ll’aco, ‘nce trase ‘a capa.
Dove non entra (passa) l’ago, entra la testa.

Un monito a provvedere tempestivamente alle riparazioni, prospettando le devastanti conseguenze di un lungo rinvio.
  • Aje voglia ‘e mettere rumma, ‘nu strunzo n’addiventa maje babà.
Hai voglia di versare rum, uno stronzo non diventa mai un babà.

Si può camuffare, “confezionare”, ornare, truccare un idiota come si vuole, l’idiozia non ne verrà neppure scalfita. Malgrado tutti gli sforzi prodigati un idiota resta un idiota, sempre identico, sempre riconoscibile.
  • All’anno stuorto, l’uorto; a lo stuorto stuorto, la capra e l’uorto; all’anno stuorto e restuorto stuorto, la capra l’uorto e lu puorco.
All’anno (nell’anno) storto (cattivo) (acquisto) l’orto; in quello storto storto, la capra e l’orto; in quello storto ma proprio storto storto, la capra l’orto e il maiale.

All’accorto contadino, infallibilmente perseguitato dalla sventura, riesce con altrettanto infallibile e mirabile regolarità la conversione alchemica della cattiva, della molto cattiva annata e dello stesso annus horribilis in una vera e propria cornucopia (opportunamente celata sotto un manto di vittimismo).
  • Allìsciate ‘a gnora e stìpete ‘o serviziale.
Tratta con ogni riguardo (lett: liscia, adula) la suocera e tieni pure da parte il clistere.

Diplomazia e salute: un atteggiamento conciliante previene logoranti conflitti, assicura la quiete domestica e, prevenendo possibili effetti avversi a carico dell’intestino, dispensa dal ricorso ai servizi del serviziale. Sopire, troncare.
  • Allonga la via, e va a la casa.
Allunga la strada e vai a casa.

Sii innanzitutto prudente.
  • Ama l’amico co lo vizio sujo.
Ama l’amico con i suoi difetti.
  • Amice ‘a luntano se vasano ‘e mane.
Amici da lontano si baciano le mani, (la costante vicinanza può essere causa di contrasti).

[…] i veri amici si amano e si rispettano anche da lontano.
  • Amice e vino hann’ ‘a essere viecchie.
Amici e vino devono essere vecchi.

Devono essere provati col tempo.
  • Amice povere, amice scurdate.
Amici poveri, amici dimenticati.
  • Amice puverielle, casecavalle perdute.
Amici poveri, caciocavalli persi.

Non bisogna sperare doni da amici poveri.
  • Amicizia e primm’ammore non se scordano maje.
Amicizia e primo amore non si dimenticano mai.
  • Amico pruvato vale cchiù ‘e ‘nu parentato.
Amico provato vale più di un parente.
  • Amicizia stretta stretta, nun te n’jesce nette nette.
Amicizia molto stretta, non te n’esci del tutto a netto.

Non si mantiene un forte legame forte amicizia senza donare nulla, senza cedere nulla, né lo si scioglie senza nulla rimetterci.
  • Amico trase e penza ca cca’ nun se fa credenza, ‘a facette na’ vota, perdette l’amico e nun fuie pavate.
Amico, entra e considera che qui non si fa credito, lo feci una volta, persi l’amico e non fui pagato.
  • Ammico mio cortese, comme aje le ntrate, accossì fa le spese.
Amico mio cortese, come hai (sono le tue) le entrate, così (in proporzione) fai le spese.
  • Ammore ‘e mamma nun te ‘nganna.
L’amore di una madre non può ingannare.
  • Ammore e rogna nun se po’ nasconnere.
Amore e rogna non si possono nascondere.
  • Ammore de patrone e vine ‘e fiasco a sera so’ buono e ‘a matina so’ sciacqua.
variante
  • Ammore de patrone, e bino de fiasco, la sera è buono e la mattina è guasto.
L’amore del padrone e il vino del fiasco: la sera sono buoni e la mattina sono guasti.
  • Ammore nun vo’ bellezza, appetito nun vo’ sauze, l’accattare nun vo’ amicizia.
L’amore non vuole bellezza, l’appetito non vuole salse, il comprare non vuole amicizia.

Il vero amore prescinde anche dalla bellezza, l’appetito non richiede salse o condimenti sofisticati, il comprare non è compatibile con un rapporto di amicizia.[
  • Anema senz’ammòre, sciòre senz’addòre.
Anima senza amore, fiore senza profumo (odore).

Un’anima incapace di amare è arida, sterile come un fiore a cui manca il profumo.
  • Angappa pe primmo! fossero pure mazzate.
Sii sempre il primo a prendere! (acchiappa per primo, non restare mai indietro, sii sempre in anticipo su tutti, fatti sempre avanti per primo), fossero anche percosse.
  • Areto ô monte nce sta ‘a scesa.
Dietro il monte (oltre la vetta) c’è la discesa.

Non scoraggiarti di fronte alle difficoltà perché una volta superate, tutto diventa più facile.
  • Arremedia pe mmo, ca Dio nce penza appriesso.
Rimedia come puoi per ora, che Dio ci pensa dopo.
  • Arrore cummette chi va cercanno ova d”o lupo. 
Commette un errore chi va in cerca di uova del lupo.

Non ha senso cercare l’impossibile.
  • Astipa ca truove.
Conserva che trovi.
  • Astipate ‘o piezzo janco pe’ quanno veneno ‘e tiempe nire.
Conserva il pezzo bianco (un pezzo di pane) per quando verranno i tempi neri.
  • Attacca o ciuccio addò vò o patrone.
Lega l’asino dove vuole il padrone.
  • Aùrie sènza canìsto, fà abberé ca nun l’é vìste.
Auguri senza canestro, fingi di non averli visti.

Un augurio non accompagnato da un regalo va ignorato.

B

  • Basta cu’ ‘a malincunia! Parlammo ‘e cose allegre! Comm’è stato ‘o funerale ‘e Don Ciccillo?
Basta con la malinconia! Parliamo di cose allegre! Com’è stato il funerale di Don Francesco?

Riferito a chi ha l’abitudine di parlare sempre di disgrazie o di argomenti tristi.
  • Bella cosa è la pace. No la conosce ‘n terra chillo che no provaie primmo la guerra.
Bella cosa è la pace. Non la conosce sulla terra chi non ha provato prima la guerra.
  • Bizzoche e spingule ‘nganna: marito quanno, marito quanno?
Bigotte e “spille alla gola” (inaccessibili, di austeri, severi costumi): quando, quando il marito?

Possono far credere come vogliono di pensare solo a Dio e all’anima! Anche le donne che affettano il più assoluto disinteresse per gli uomini, non pensano ad altro che a trovar marito.
  • Bona maretata, né socra né cainata.
Per un buon matrimonio, né suocera né cognata.
  • Bona vita e tristo testamiento.
Bella (buona) vita e triste testamento.

Dopo di noi, il diluvio (Madame de Pompadour): dilapidando con indifferenza le proprie sostanze, si lasciano gli eredi in miseria.
  • Bone parole e triste fatte ‘ngànnano li sàpie e li pazze.
Belle parole e tristi fatti ingannano i saggi e i pazzi.

È facile carpire la buona fede di tutti a chi avendo il dono della parola può nascondere abilmente le sue azioni riprovevoli.
  • Buono è l’amico, caro è ‘o parente, ma povera ‘a sacca toja si nun c’è stace . niente.
Buono è l’amico, caro è il parente, ma povera la tua tasca se non c’è niente.

È giusto voler bene ad amici e parenti, ma attenti a non rovinarsi per loro.
  • Buonu tiempo e malu tiempo nun durano tutto ‘o tiempo.
Buon tempo e cattivo tempo non durano tutto il tempo.

Nulla dura per sempre, tutto passa, le buone come le cattive cose.
  • Busto troppo strìtto, ambrèssa se schiàtta.
Busto troppo stretto scoppia presto.

Una donna dai principi estremamente rigidi può improvvisamente cedere…

Un’amicizia troppo stretta potrebbe rompersi.

C

  • С’o vino pure ‘o saputo addiventa animale.
Col vino anche una persona colta diventa un animale.
  • Cantanno se smèsa ‘o dulore.
Cantando si dimezza il dolore.
  • Capo de casa, sia capo de vrasa.
Capo di casa sia capo di brace (lo sia davvero, si faccia rispettare).
  • Carcere e malatie, se vede ‘o core ‘e ‘ll’amice. 
Carcere e malattie, (è lì che) si vede il cuore degli amici.
  • Càrte e ddònne fànno chéllo che vvònno.
Carte e donne fanno quello che vogliono.
  • Cavallo caucenaro cchiù ne leva, che ne dà.
Il cavallo che sferra calci ne tira più a vuoto di quanti ne dia.

Chi attacca, insulta facilmente gli altri finisce con molta probabilità per avere la peggio.
  • Che te ne pare d’ ‘a menesta? È bbona? – È bbona – respose isso –; ma non è cosa da farene fondamiento. Non capite ca – dice lo spagnuolo: – sobre una cosa redonda, non se hace buen edificio?
Che te ne pare della minestra? È buona? – È buona – rispose lui –; ma non è cosa da farne fondamento. Non capite che – dice lo spagnolo – sopra una cosa rotonda non si costruisce un buon edificio?

Nulla può riuscire se manca una base solida, né un buon edificio su una superficie rotonda né un buon pranzo che incominci con una semplice minestra.
  • Chella ca l’aiza ‘na vota l’aiza sempe.
La donna che l’ha fatto una volta, lo farà sempre.
  • Chella cammisa ca nun vo’ stà cu tte, pigliala e stracciala oppure Cammisa ca’ nu’ vo’ stà’ cu’ tico, stracciala.
Quella camicia che non vuol stare con te, prendila e stracciala!

Non consentire che si trascini penosamente un rapporto falso e sterile con chi non ti apprezza. Troncalo risolutamente se la tua compagnia e la tua amicizia non sono accette.
  • Chello, che cchiù se nega cchiù allumma appetito.
Ciò che più si nega, più accende la brama.
  • Chello ca pe te non buoje pe l’aute non sia.
Quello che per te non vuoi, per gli altri non sia.
  • Chello, che tu non bide ‘n sciore, non l’apettare manco ‘n frutto.
Quello che tu non vedi in fiore, non aspettarlo nemmeno in frutto.
  • Chello, che te dice lo specchiale non te lo ddice soreta carnale.
Quello che ti dice lo specchio non te lo dice (neppure) tua sorella carnale.
  • Chello che fa Dio tutto è buono.
Quel che fa Dio, è tutto buono.
  • Chello che non se fa non se sape.
Quello che non si fa non si sa.

E solamente quello, perché ,viceversa, tutto quello che si fa prima o poi si viene a sapere.
  • Chello è lo bello che a lo core piace.
È bello quello che piace al cuore.
  • Chi abbàja assaje se fa ‘na panza ‘e viento…
Chi abbaia molto si fa una pancia di vento…

Sbraitare per ogni più piccola difficoltà non serve a nulla tranne che ad accumulare frustrazione; chi ascolta, infatti, si abitua presto ai frequenti scoppi d’ira e, anziché temerli, finisce per non tenerli più in nessun conto.
  • Chi amicizia tene, chino va e chino vene.
Chi ha amicizia pieno (di doni per l’amico) va e pieno (di doni ricevuti dall’amico) viene.
  • Chi arrobba poco, arrobba assaje.
Chi ruba poco, ruba (è perfettamente capace di rubare) assai.
  • Chi autro non pote se corca co la mogliere.
Chi non può altro vada a letto con la moglie.

Non si deve desiderare quanto oltrepassa le proprie possibilità.
  • Chi chiagne fotte a chi rire.
Chi piange “la spunta” su chi ride.

Ottiene molto di più chi si lamenta continuamente di chi si accontenta.
  • Chi cuffeja, se cunfessa.
Chi sfotte mette allo scoperto la propria stupidità.
  • Chi fa ‘nu bene pe’ ricavarne male, è peggio ‘e n’animale.
Chi fa una buona azione pur sapendo che ne otterrà del male, è peggio di un animale.
  • Chi fatica, magna sardina, | chi nun fatica, magna gallina.
Chi sgobba, magna sardina, | chi se ne sta in ozio, mangia gallina.
  • Chi fila secca, e chi cocina allecca.
Chi fila si fa magro, e chi cucina lecca.

L’artigiano smagrisce; e chi amministra e governa sempre piglia grasso.
  • Chi fraveca e sfraveca nun perde mai tiempo.
Chi costruisce e distrugge non perde mai tempo.

Chi fa e disfà impiega bene il tempo perché cerca di migliorare l’opera.
oppure

Chi non resta mai in ozio impiega vantaggiosamente il proprio tempo.
oppure, in senso ironico:

La tela di Penelope: chi costruisce e disfà continuamente la sua opera perde solo tempo o vuole intenzionalmente perdere tempo (e sprecare risorse), per perseguire un obiettivo recondito.
  • Chi gliotte sano, more affocato.
Chi inghiotte sano, muore soffocato.

Chi scialacqua tutte le proprie sostanze finisce per mancare anche di quanto è strettamente necessario per vivere.
  • Chi guverna ‘a rrobba ‘e ll’ate, nun se cocca senza magnà!
Chi amministra i beni degli altri, non si corica digiuno!
  • Chi ha avuto ha avuto e chi ha dato ha dato.
Dimentichiamo risentimenti, rancori, torti, ragioni. Quello che è stato è stato, a che serve consumarsi nell’amarezza? Mettiamo una pietra sul passato e viviamo insieme riconciliati e in pace.
  • Chi have genio ‘e filà’ fila vecino ‘ò spruoccolo.
Chi ha voglia di filare fila (anche) vicino allo (con lo) stecco.

A buon cavalier non manca lancia. ( Proverbi italiani )
  • Chi magna fa mulliche.
Chi mangia fa molliche.

Chi è ricco può trascurare piccoli sprechi.
oppure

Non è possibile agire in assoluta segretezza, perché delle nostre azioni resta sempre una sia pur minima traccia.
  • Chi mosta, gosta; e chi vede schiatta.
Chi ostenta, gode; e chi vede crepa.

Contro gli invidiosi.
  • Chi non mette esca a ll’ammo, non piglia maje pesce.
Chi non mette esca all’amo, non prende mai pesce.

Se non porgi sotto mano, Ottener pretendi invano.
  • Chi n’arrobba, n’ha roba.
Chi non ruba, non ha roba (beni).
  • Chi pate p’ammore, non sente dolore.
Chi soffre per amore, non sente dolore.
  • Chi piscia contra viénto se ‘nfonne.
Chi orina controvento si bagna.

Chi sceglie di andare contro corrente subirà un danno.
  • Chi se cocca cu’ ‘e criature se sose ‘nfuso.
Chi dorme coi bambini si risveglia bagnato.

Lo spiacevole risveglio di chi ha dato fiducia a chi non lo meritava.
  • Chi se coverna da pazzo, da sapio se dole.
Chi si comporta da matto, quando rinsavisce si duole del mal fatto.
  • Chi se cunfida cu’ ‘n’amico se trova cu’ nu nemico.
Chi si confida con un amico si ritrova con un nemico.

Forte dei segreti che gli abbiamo confidato, chi un tempo ci fu amico potrebbe trasformarsi nel nostro più temibile nemico.
  • Chi se guarda ‘o sujo, nu’ fa latre a nisciuno.
Chi sorveglia, chi custodisce bene le sue cose, non fa ladro nessuno.
  • Chi se mette appaura nun se cocca cu’e femmene belle!
Chi ha paura, chi non ha coraggio non va a letto con le belle donne.
  • Chi se ntrica resta ntricato.
Chi s’immischia resta invischiato.
  • Chi se venne ‘u culo po’ nun se pò chiù assettà’.
Chi vende il proprio sedere non potrà più sedersi.

Per smodata avidità si finisce per restare privi anche dell’indispensabile.
  • Chi semmena ‘nmiezo ‘e ‘llacreme, arrecoglie ‘mziezo ‘a priezza. 
Chi semina fra le lacrime, raccoglie nella gioia.

Il sacrificio è un seme fecondo.
  • Chi serve ‘ncorte, ‘mpagliara more.
Chi serve nel cortile, muore su di un pagliaio.
  • Chi sta vicino ‘o sole nun sente friddo
Chi sta vicino al sole non sente freddo.

Chi è amico di un potente vive sicuro sotto la sua protezione.
  • Chi striglia lo cavallo sujo, non se po’ chiammare muzzo de stalla.
Chi striglia il proprio cavallo, non può essere chiamato mozzo di stalla.
  • Chi t’è amico te parla ‘nfaccia, chi no te parla arreto.
Chi ti è amico ti parla in faccia (apertamente), chi no ti parla (parla di te) indietro (alle spalle).
  • Chi te sape t’arape.
Chi ti conosce ti apre.

Spesso chi commette un furto in casa conosce molto bene la vittima e le sue abitudini.
  • Chi te vò bene te fa chiagnere.
Chi ti vuole bene ti fa piangere.

Chi ti vuole bene davvero non ti abbandona a te stesso compiacendoti ad ogni costo, ma, quando è necessario, ti punisce, ti dice le dure verità che preferiresti non ascoltare, che ti fanno soffrire ma che devi vedere per correggerti.
oppure

Voler bene rende vulnerabili e a volte accade che proprio chi ricambia il nostro amore ci procuri la più cocente delusione e il più grande dolore.
  • Chi tene ‘a mamma nun chiagne.
Chi ha la mamma non piange.

Non c’è dolore che il conforto e l’affetto di una madre non possano lenire.
  • Chi tene denare campa felice, chi no va ‘nculo all’amice.
Chi ha soldi vive felice, chi no, buggera gli amici.
  • Chi tene denare e amicizia s’accatta pure a giustizia.
Chi ha soldi e amicizia si compra anche la giustizia.
  • Chi tene mente a ‘e nùvele va cu’ ‘e ppezze ‘nculo (oppure arèto).
Chi è sempre intento ad osservare le nuvole va con le toppe al fondello dei pantaloni (o dietro).

Mete grandiose, progetti utopistici, sogni irrealizzabili e scarso senso della realtà non possono che ridurre in miseria.
  • Chi tène nu puorche sule u cresce grasse; chi tène a nu figlie sule u cresce fesso.
Chi ha un solo maiale lo fa crescere grasso; chi ha un solo figlio lo fa crescere fesso.
  • Chi tene ‘o lupo pe cumpare, porta ‘o cane sott’ ‘o mantiello.
Chi ha per compare il lupo, porta il cane sotto il mantello.

È bene stare in guardia contro chi frequenta o ha interessi in comune con persone malvagie.
  • Chi tene piatà d’ ‘a carna ‘e ll’àutre, ‘a sòja s’ ‘a màgnano ‘e cane.
Chi ha pietà dell’altrui carne, farà della sua stessa una carne che mangiano i cani.
  • Chi tene vocca, tene spata.
Chi ha (la) bocca, ha (una) spada.

La parola è un’efficace arma di difesa, più della spada.
  • Chi va pe’ chisti mari chisti pisci piglia.
Chi va per questi mari questi pesci prende.

È scontato che scelte, decisioni rischiose possono comportare conseguenze spiacevoli che non devono né sorprendere né rammaricare.
  • Chi vo’ grazia a Dio, nu’ porta pressa.
Chi vuole ottenere una grazia da Dio non ha fretta.
  • Chiacchiere e tabacchiere ‘e lignammo ‘o Banco ‘nu’ ne ‘mpegna.
Chiacchiere e tabacchiere di legno, il Banco non le prende in pegno.

Nessuno prende impegni senza solide garanzie, sulla base di vaghe prospettive.
  • Chiagne ‘o justo p’ ‘o peccatore.
Il giusto piange per (al posto del) peccatore.
  • Chisto è ‘o munno: chi naveca e chi va a funno.
Questo è il mondo: chi naviga e chi va a fondo.
  • Chi tròppo vo’ magnà s’affòca.
Chi è troppo avido nel mangiare si strozza.
  • Co lo tiempo e co la paglia s’ammaturano le nnespola.
Con il tempo e con la paglia si maturano le nespole.

Dar tempo al tempo, Aver pazienza, Attendere, per veder cosa perfetta.
  • Co mmitreja de carta, e mmuseca d’attone, tocca a li birbe a ghì ‘n processione.
Con in testa una mitra di carta, e accompagnati da musica di ottoni, tocca ai birbanti andare in processione.

Il che dicesi de’ rei, che si van frustando, perché portan in testa un foglio di carta avvolto, e il Boja va scuotendo lor a schiena alla nuda sull’asino, e il Trombetta innanzi va annunziando il lor reato e condanna.
  • Comme si’ bbona, comme si’ bella, e a’ spigola s’ammuccaje ‘a sardella.
Come sei buona, come sei bella, e la spigola fece un sol boccone della sardella.

Avvolta da una cortina di cortesi parole può nascondersi una pericolosa insidia.
  • Core deliberato non ha voglia de conziglio.
Cuore risoluto non vuole consiglio.

Cuore fermamente risoluto nella sua decisione non accetta e non ascolta consiglio.
  • Corsa ‘e ciuccio poco dura.
Corsa di asino dura poco.

Il successo ottenuto senza il possesso di qualità autentiche è di breve durata.
  • Cu ‘a verità nun se pazzea.
Con la verità non si scherza.

Impegnativa e inesorabile la verità segue sicura il suo corso, noncurante delle escogitazioni mendaci di chi vorrebbe occultarla e rivelandosi infine assai pericolosa per chi l’ha temerariamente violata.
  • Cu gente ‘e muntagna e cravune ‘e castagno nun ce fa negozio ca nun ce guadagne.
Con gente di montagna e carboni di castagno non trattare perché non ci guadagni.
  • Cucurecù, quanno si’ viecchio nu ‘nce n’è chiù.
Cucurecù, quando sei vecchio non ce n’è più.

La vecchiaia è irreversibile, qualsiasi rimedio, anche il più sofisticato, non è che un palliativo.
  • Cumpatisce sempe chi è ‘mpiso.
Compatisci sempre chi è giustiziato.
  • Cunte spisse ed amicizia a lluongo.
Conti spesso (pagamenti puntuali) ed amicizia a lungo.
  • Cunvegno ‘e volpe, ramaggio ‘e galline.
Convegno di volpi, disgrazia di galline.
  • Cuscienza sporca, curona longa!
(Chi ha la) coscienza sporca, (ha) la corona lunga (per recitare rosarii)! (Oppure: tiene molte chiacchiere per tentare di giustificarsi).
  • Cuofane saglie e Cuofane scenne; l’anema mia dio s’a piglia.
Cofano sale e cofano scende; la mia anima se la prende Dio.

Passino pure le cose del mondo, illusorie nel loro incerto avvicendarsi; la mia anima appartiene solo a Dio.

D

  • D’ ‘o denaro d’ ‘o carucchiaro se ne vede bbene ‘u sciampagnone.
Del denaro dell’avaro gode lo scialacquatore.
  • Da cà a dimane nasceno ciente pape.
Da qui a domani nascono cento papi.

Non fermarti al presente, la vita è mutevole e bisogna essere sempre aperti alle possibilità che offre.
oppure

Da ora a domani abbiamo tutto il tempo che ci occorre per quello che dobbiamo fare.
  • Da do viene? Porto cepolle; che puorte? Vengo da Arzano.
Da dove vieni? Porto cipolle; che porti? Vengo da Arzano.

Detto come replica a chi, alla domanda che è stata fatta, dà risposte non attinenti per sviare il discorso.
  • Da la mattina se conosce lo male juorno.
Il cattivo giorno si conosce dal mattino.

Il principio, l’inizio fa presagire il seguito e l’esito.
  • Da no malo pavatore scippa chello che può.
Da un cattivo pagatore porta via (strappa) quello che puoi.
  • De chello che bide poco nne cride.
E chello ca vide poco ne cride: credi poco a quello che vedi. Dubita sempre dei tuoi stessi occhi, le apparenze ingannano.
  • De chello che siente non credere niente.
E chello ca siente nun credere niente.: di quel che senti non credere niente.
  • Democrazie: diece fessi vàlene chiù i nove reritte!
Democrazia: dieci fessi valgono più di nove intelligenti!
  • Designo de poverommo maje non riesce.
Il progetto del poveruomo non va mai a buon fine.
  • Dice ‘o tiempo all’uommene: tengo fretta, me ne vaco.
Il tempo dice agli uomini: ho fretta, me ne vado.

Il tempo passa via rapido senza curarsi di noi, senza aspettarci.
  • Dicette ‘a figliola… quann”o verètte: Uhè, che bellu capitone senza rècchie!
Disse la ragazza… quando lo vide: Ehi, che bel capitone senza orecchie!

Innocenza assoluta, senza ombra di malizia… possibile, dobbiamo credere, in tempi assai lontani.
  • Dicette ‘a monaca ‘e Sant’Anna: ‘a copp’ ‘e panne nun fa danno. Ricette ‘a monaca ‘e Santa Rosa: ‘a sott’ ‘e panne fa quaccòsa!
Disse la suora di Sant’Anna: sopra le vesti non fa danno. Disse (rispose) la monaca di Santa Rosa: sotto le vesti fa qualcosa!

Immaginaria disputa fra due religiose sulla liceità e sull’efficacia della… “manomorta”.
  • Dicètte ‘a mosca ‘ncapo ô vòje: Aràmmo!
Disse la mosca sulla testa del bue: Ariamo!

Un geniale scansafatiche che con un brillante sofisma dà ad intendere di essere pronto ai lavori più impegnativi che però si guarda bene anche solo dal cominciare.
  • Dicètte Dio ‘nfaccia a Dio: Lassa fa’ a Dio!
Disse Dio rivolto (in faccia) a Dio: Lascia fare a Dio!

Dio stesso si affida interamente alla volontà di Dio.

Il paradosso si ridimensiona se si tiene conto del dogma della Trinità a cui questo proverbio sembra fare riferimento.
  • Dicette fra’ Lorenzo: nun pazziammo cu’ ‘a sussistenze.
Disse Frate Lorenzo: (scherziamo su tutto, ma) non scherziamo con il cibo.
  • Dicette ‘na vecchia arraggiata: vierno fernesce ‘a Nunziata. Ma risponne ‘nu viecchio: cu’ ‘e ceremonie.[210]
Disse un’anziana arrabbiata: l’inverno finisce alla festa dell’Annunziata. Ma risponde un vecchio: con le cerimonie.”

Anche il tramonto può avere il suo splendore: una, più “feste” di addio al tempo felice, alla… lunga dorata stagione che per l’anziana donna si conclude con tanta amarezza all’Annunziata: è la proposta un uomo anziano, saggio e ancora “vivace” abbastanza da celebrare, prima che la notte cada, alcune cerimonie… di congedo dalla bella stagione che volge al termine.
  • Dicette ‘o pappavallo: chi vo’ campà felice vere ‘o stuorto e nun adda ricere.
Disse il pappagallo: chi vuole vivere felice vede ciò che va male e non lo deve dire.

Meglio far finta di non accorgersi di quello che non va se si vuol vivere felici.
  • Dicette ‘o pappice â noce: Damme tiempo ca te spertoso.
Disse il tonchio alla noce: dammi tempo che ti buco.
  • Dicette ‘o scarrafone: po chiovere ‘nostra: chiù niro ‘e chello ca songo nun pozzo addiventà.
Disse lo scarafaggio: può anche piovere inchiostro: più nero di quello che sono non posso diventare.

Le cose non possono andar peggio di così.
  • Dicette Pulicenella: Tanno voglio muri’, quanno tre rilorge vann’eguale.
Disse Pulcinella: Voglio morire quando tre orologi segneranno la stessa ora.

Con questa “scommessa” Pulcinella esprime il suo amore per la vita e augura a sé stesso di vivere a lungo.
  • Dicette ‘u riccio ‘a serpa doppo ch’era trasuto dint’ ‘u nido: mo ca staje astrinto, jesce fora.
Disse il riccio al serpente dopo che era entrato nel suo covo: ora che stai stretto, esci fuori.

Meglio non fidarsi di chi ci spinge ad abbandonare ogni prudenza.
  • Diceva ‘a bonànema ‘e vavélla ca quanno ‘na figliola zetella more va ‘mparaviso e addeventa ‘na rosa. ‘Nu iuorno ‘o ciardiniere San Calisto p”o nomme ‘e Cristo ‘nu mazzetiello ‘e ròse aveva ‘a fà’: mbè, chillu puveriéllo giraie tutt”o ciardino ‘e Cristo e ‘na rusélla nun ‘a putette truvà’!
Diceva la buonanima della cara ava che quando una giovane non ancora sposata muore va in paradiso e diventa una rosa. Un giorno il giardiniere San Callisto doveva cogliere nel giorno della festività di Cristo un mazzolino di rose: ebbene, quel poveretto fece il giro di tutto il giardino di Cristo e non riuscì a trovare neppure una rosellina.’

Non c’è donna che muoia vergine: né una rosa (una giovane vergine), né una rosellina (una giovanissima vergine).
  • Dio è lungariéllo, ma nun è scurdariéllo.
Dio è lento ad intervenire, ma non è smemorato.
  • Dio m’arrassa da invidia canina da mali vicini, et da bugia d’homo da bene.
Dio mi tenga lontano da invidia canina da cattivi vicini e da bugia di uomo perbene.

Si tramanda che per volontà testamentaria di un ricco cittadino condannato a morte per omicidio sulla base di false testimonianze, queste parole furono incise su una lapide da collocare in perpetuo sulla facciata dell’Ospedale della Pace cui il condannato lasciò in eredità i suoi beni, aggiungendo la condizione che se la lapide fosse stata rimossa, l’eredità sarebbe passata all’Ospedale degli Incurabili. 
  • Dio te guarde de povere arreccute, de ricche mpezzentute.
Dio ti guardi da povero arricchito, da ricco caduto in miseria.

variante:

  • Dio te guarda de ricco ‘mpoveruto, et de pezzente, quanno e rresagliuto.
Dio ti guardi da ricco caduto in miseria e da pezzente quando si è arricchito. (è risalito).
  • Disse Masto Nicola, tutta la ruggia nne porta la mola
Disse Mastro Nicola, tutta la ruggine porta via la mola.

Col tempo e la disciplina tutto si corregge.
  • Doje femmene e ‘na papara faceno ‘no mercato.
Due donne e un’oca fanno un mercato.

Due donne appena ed un’oca bastano per fare un chiasso paragonabile a quello un mercato.
  • Don Rafè, vuje cu’ ‘a sicarrètta e io cu’ ‘o muzzone, cacciammo ‘o stesso fummo.
Don Raffaele, voi con la sigaretta e io col mozzicone facciamo (tiriamo fuori) lo stesso fumo.

Quel che conta è il risultato, che si può ottenere anche con mezzi modesti e perciò con maggior merito.

Non importa che sia un gatto bianco o un gatto nero, finché cattura topi è un buon gatto.
  • Dòpp ‘a strazzióne ògne ffésso è prufessóre.
Dopo l’estrazione ogni fesso è professore.
  • Doppo muorto non nce sta chiù che sperare.
Dopo la morte non c’è più che sperare.
  • Duje guste ha chi se nzora, l’uno la primma notte, che la mogliere afferra, l’autro quando l’atterra.
Due piaceri ha chi si sposa, uno la prima notte che possiede la moglie, l’altro quando la seppellisce.

E

  • È asciuto lo mellone, Appienne lo cocchiarone.
Si vende (lett.: è uscito) il mellone, appendi il mestolo.

Antico proverbio dei sorbettieri: con la vendita dei melloni messi a ghiacciare nelle grotte diminuiva quella dei sorbetti.
  • E ccarte so’ ‘e pezza e fanno chiagnere l’uommene senza mazze.
Le carte sono di pezza e fanno piangere gli uomini senza (adoperare) bastoni.

Le carte da gioco, così leggere, possono essere dare più dolore di pesanti bastonature.
  • È chiù tosta la preta che la noce.
È più dura la pietra della noce.

Sii consapevole della tua forza, valuta con realismo le tue possibilità ed evita di scontrarti con chi è più forte di te.
  • E dalle e ddalle ‘o cucuzziello addeventa tallo.
E dagli e dagli la zucchina diventa tallo.

A furia di raccogliere zucchine della pianta non resta che germoglio: meglio non insistere troppo sul medesimo soggetto di discussione, perché a furia di battere e ribattere, la situazione finisce per degenerare.
  • E denare d’ ‘a capera so’ denare ca sanno ‘e fèle.
soldi della pettinatrice sono soldi che sanno di fiele.

Le pettinatrici a domicilio erano celebri per essere infaticabili, implacabili divulgatrici di pettegolezzi.
  • E denare fanno veni’ a vist’ê cecate.
I soldi fanno venire (ritrovare) la vista ai ciechi.
  • E denare so’ ‘a voce ‘e ll’ommo.
I soldi sono la voce dell’uomo.
  • E denare so’ comm’a ‘e chiattille: s’attaccano a ‘e cugliune.
I soldi son come le piattole: si attaccano ai testicoli.

Agli stupidi che non ne comprendono l’importanza e quindi li sprecano oppure non se li godono.
  • E ditte antiche nun fallisceno maie.
detti antichi non falliscono mai.

Li mutte de l’antiche sò digne de memoria. I detti degli antichi sono degni di essere ricordati.
  • E femmene so’ come ‘e mellune, ogne ciente una.
Le donne sono come i meloni, su cento, solo uno è buono.
  • E femmene tèneno ‘e lacreme ‘int’ ‘a burzetta.
Le donne hanno le lacrime nella borsa (sempre pronte).
  • E guaje r’ ‘a pegnata ‘e sape ‘a cucchiara.
I guai della pignatta li conosce il mestolo.
  • E lluce-luce fanno juòrno ‘a sera.
Le lucciole rischiarano la sera.

Non si deve mai perdere la speranza.
  • E mariuole cu ‘a sciammeria ‘ncuollo, so’ pegge e ‘ll’ate.
I ladri con la marsina addosso (molto eleganti, dall’aspetto di gentiluomini), sono peggiori degli altri.
  • È meglio dint’ô pevo puorto, ca ‘nfunn’ô mare muorto.
È meglio nel peggiore porto, che in fondo al mare morto.

Proverbio di Sorrento.
  • È meglio essere capa ‘e ciciniello ca coda ‘e cefalo
È meglio essere testa di ciciniello (fragaglia) che coda di cefalo.

Meglio comandare anche se in una piccola e modesta impresa che essere subordinati in un’azienda di grande notorietà e dimensioni.
  • È meglio na brutta matina ca na mala vecina.
È meglio una brutta mattina che una cattiva vicina.

La prima passa, l’altra resta.
  • È meglio nu cantaro mmiez’ â casa ca nu marito annanz’ ê piede.
È meglio, dà meno fastidio un vaso da notte al centro della casa che un marito fra (davanti) i piedi.
  • E mosche corrono addò sta ‘o doce o ‘ncopp’ ‘a merda.
Le mosche corrono dove c’è il dolce o sulle deiezioni.

Non pochi, animati da una volontà radicalmente utilitaristica ed opportunistica, frequentano, senza alcun discernimento, chiunque sia utile ai propri interessi.
  • È mutto de scrivere a llettere de catafarco ca maje lo stace zitto fece nozimiento a nisciuno.
È proverbio da scrivere in lettere di catafalco (gigantesche) che mai lo stare zitti fece danno a nessuno.

Il silenzio è d’oro.
  • È ‘na gran cosa da vera quanno facimmo burro lu cunto che da la stisso ligno rescano statale d’idole e travierze de forche, segge d’ ‘mperatore e cupierchie de cantare.
È davvero una grande cosa pensare che dallo stesso legno si possono trarre statue d’idoli e traverse di forca, troni d’imperatori e coperchi di vasi da notte.
  • E pariente so’ comm’ ‘e scarpe, cchiù so’ estritte e cchiù te fanno male.
I parenti sono come le scarpe, più son stretti e più ti fanno male.
  • E pparole d’ ‘e femmene se teneno pe’ serenata.
Le parole delle donne devono considerarsi come serenate.

Non bisogna tenerne conto.
  • E pazzie d”e cane fernesceno a ccazze ‘nculo.
Nell’entusiasmo del gioco (‘e pazzie, i giochi) il cane potrebbe eccedere in grinta e mordere.
oppure
I giochi dei cani incominciano con scherzosi abbai, amichevoli ringhi, giocose zuffe e infine con la monta di uno dei cani che somiglia (senza esserlo) a un atto sodomitico.

I giuochi di cattivo gusto finiscono per degenerare.
  • È pazzo chi vò impedire lo curzo de no sciummo, che bà da capo a bascio.
È folle chi vuole impedire il corso di un fiume che scorre dall’alto verso il basso.

Non altrimenti folle è il voler impedire ai sentimenti e agli istinti di esprimersi.
  • È sentenzia antica ca lu babbiano è comme a la vescica.
È sentenza antica che il pallone gonfiato è come la vescica.

Basta pungerlo per afflosciarlo.
  • E viécchie lle próre ‘o cupiérchio.
Ai vecchi prude il sedere.

Con la vecchiaia non si spengono le voglie.
  • È vierno e malo tiempo fa: ha da ascì ‘nu raggio ‘e sole pe ‘mme fa scarfà.
È inverno ed fa mal tempo: deve pur uscire un raggio di sole per scaldarmi.

Anche se i tempi sono cattivi, prima o poi dovrà anche per me venire il momento buono.

F

  • Fa bene e scordate; fa male e pènzace.
Fa’ il bene e dimenticatene, fa’ il male e pensaci (riflettici pen non rifarlo).
  • Fatìco, fatìco ma sempe scàveza vàco! – dicette a gallina.
Lavoro, lavoro, ma sempre scalza vado! – disse la gallina.

Riferito a chi lavora duramente senza goderne il frutto.
  • Fatte ‘na bbona annummenata e po’ va’scassanno chiesie.
Fatti un buon nome e poi vai pure a depredare le chiese.

Al riparo di una solida reputazione — garanzia d’insospettabilità — se ne possono combinare a man salva di tutti i colori.
  • Fatte ‘nu buono muorzo quanno può, ca ‘o mmalamente nun te mancarrà.
Mangia (fatti) un buon boccone (morso) quando puoi, che il cattivo non ti mancherà.

Cogli senza esitare le buone occasioni perché, al contrario dalle cattive, sono rare.
  • Femmena aggraziata vole essere pregata.
Una donna graziosa desidera essere corteggiata.
  • Femmene ‘e chiesa, diavule ‘e casa.
Donne di chiesa, diavole a casa.
  • Femmene e denare hanno ‘a passà’ pe’ una mano.
Donne e soldi devono passare per una sola mano.

Non devono essere condivisi con nessuno.
  • Femmene e denare so’ ‘e cose chiù care.
Donne e soldi sono le cose più care.
  • Fernute ‘e suone, fernesce ‘o ballo; e, senza denare, l’ommo nun canta.
Finiti i suoni, finisce il ballo; e, senza soldi, l’uomo non canta.

Così come non si può ballare se non c’è musica, senza soldi l’uomo non può essere contento.
  • Foemina nulla bona, sed si bona est, pìgliala e vóttala p’a fenesta.
Nessuna donna è buona, ma, se (pure) lo fosse, prendila e buttala dalla finestra.’

Scetticismo sistematico, dubbio iperbolico applicato alla bontà delle donne.
  • Ffamme a piezze a piezze, ma jettàmme mmiezze ai parente meie
Tagliami a pezzi a pezzi, ma gettami tra i parenti miei!
  • Friddo e famme svacantano ‘e lupare.
Freddo e fame svuotano le tane dei lupi.

La fame costringe ad agire.
  • Fu ssempre laudato assaie chiù no gnorante de la pratteca de uommene vertulose che n’ommo sapio de la scommerzione de gente da poco.
Fu sempre lodato molto di più un ignorante perché pratica uomini virtuosi che un uomo saggio per la familiarità con gente da poco.

Il primo può ottenere agi e grandezza, l’altro perdere ricchezza e onore.

G

  • Giesucristo fa ‘a cafettera e po’ dice: «Tròvate ‘o cupierchio.»
Gesù Cristo fa la caffettiera e poi dice: «Trovati il coperchio.»

Così ci si riferisce a due persone dal carattere (specialmente se negativo) affine.
  • Gioacchino mettette ‘a legge e Gioacchino fuie ‘mpiso.
Gioacchino fece la legge e Gioacchino fu impiccato.

Le azioni ricadono su chi le compie.

Patere quam ipse fecisti legem. (Subisci la legge che tu stesso hai fatta). (Proverbi latini)

Chi è causa del suo mal pianga se stesso. (Proverbi popolari italiani)
  • Guaie e maccarune se magnane caure.
Guai e maccheroni si mangiano caldi.

A nulla serve rammaricarsi; meglio porre prontamente rimedio.
  • Guaje quant’a l’arena ma morte maje!
Guai quanto i granelli di sabbia della spiaggia ma morte mai!
  • Guallere e denare niscuno sape si ne tene.
Ernie e soldi, nessuno sa chi ce l’ha.
  • Guarda ‘e nun ‘nciampà ‘nnanza porta da casa toja.
Vedi di non inciampare sulla soglia di casa tua.

Prima di criticare gli altri considera che nemmeno tu sei perfetto.
  • Guardate da cavallo de na stalla.
Guardati da cavallo di una stalla (potrebbe più facilmente sferrare un calcio)

Guardati dai superbi.

H

  • Ha cchiù raggione chillo ch’accìde ca chillo ch’è acciso!
Ha più ragione chi uccide di chi viene ucciso!

Chi è vivo parla e agisce e può quindi, da solo o con l’aiuto di un difensore, far valere le sue ragioni più efficacemente di chi è morto.
  • Ha fatto ‘a fine d”o tracco: tanti bbòtte e po’ dint’a’ munnézza!
Ha fatto la fine del mortaretto: tanti scoppi o poi nella spazzatura.

Sic transit gloria mundi: Grande pompa, splendore, arroganza, prepotenza quando era al culmine del potere, fine indecorosa ed oblio quando l’astro è tramontato.
  • Habere accanto mulièra bella, sine Cerere et Bacco frjiatélla!
Avere accanto una bella moglie senza Cerere (buon cibo) e Bacco (buon vino), friggitela! (te la puoi far fritta).

I

  • I figlie songhe piezze ‘i core.
I figli sono pezzi di cuore.
  • I ffémmene, une pe rregne!
Le donne, (dovrebbe nascerne) una sola per ogni regno!
  • I renare s’abbuschene cu’ ‘a spogne e se ne vanno cu ‘e cate.
I soldi si guadagnano con la spugna e se ne vanno (con i) a secchi.

I soldi guadagnano con fatica e vanno via a fiumi.
  • I’ so’ de poche parole: bufunchiaje ‘o pappavallo.
Io sono di poche parole: bofonchiò il pappagallo.

Riferito a chi parla troppo: in manifesta contraddizione con la sua loquacità, il pappagallo vanta una dote che è ben lontano dal possedere.
  • Iere facive ‘o guappo a mare e mo faje ‘o strunzo ‘int’ ‘a spasella.
Ieri facevi lo smargiasso a mare ed ora stai rigido e immobile nel cestino.

Il pesce, tanto audace nel suo elemento, finisce miseramente nel cesto del pescivendolo. Così certi vanagloriosi che, messi alla prova, dimostrano tutta la loro inconsistenza.
  • Ietteche e pazze veneno d’ ‘a razza.
Tisi e follia vengono dalla razza (sono ereditari).
  • Int’â vocca chiusa nun tràseno mosche.
Nella bocca chiusa non entrano mosche.


È meglio tacere che dire sciocchezze.
  • Io me sparagno a muglierema e l’ate s’ ‘a fottono.
Io risparmio mia moglie e altri se la godono.

Io faccio sacrifici, mi impongo privazioni ed altri ne godono indebitamente i frutti.

J

  • Jastemma senza colpa, addo’ jèsce, lla se cócca
Imprecazione ingiusta, dove esce, là si corica.

Ricade su chi ne è l’autore.
  • Jennaro sicco, massaro ricco.
Gennaio secco fattore ricco.
  • Jova sempre l’essere cortese.
Giova sempre l’essere cortese.
  • Juogo de matremmonio nun se po’ tirare si le vuoje nun so’ pari.
Il giogo del matrimonio non si può tirare (sopportare) se i buoi non sono (avanzano) pari.

L

  • L’accasione è scala p’ ‘a forca.
L’occasione (di commettere un crimine) è scala per la forca.
  • L’Altissimo ‘e coppa ‘nce mànne ‘e ttempèste, l’altissimo ‘nterra se piglia chello ca resta e – tra ‘sti dùje altissimi – nuje sìmme ‘e futtutìsseme.
L’Altissimo di sopra ci manda le tempeste, l’altissimo in terra si prende quello che resta e – tra questi due altissimi – noi siamo i fottutissimi.
  • L’amico è comme ‘o ‘mbrello, quanno chiove nun ‘o truove maje.
L’amico è come l’ombrello, quando piove non lo trovi mai.
  • L’amico ‘e muntagna, chi ‘o perde ce guadagna.
L’amico di montagna, chi lo perde ci guadagna.

Non ci si rimette nulla, anzi, c’è tutto da guadagnare nel perdere un amico di non elevata condizione, di animo meschino, di angusto orizzonte spirituale e per ciò stesso micragnoso e del tutto incapace di generosità.
  • L’amico spisso è comm’o fungio, bello a magna’, ma difficile a digerì.
L’amico spesso è come il fungo, buono da mangiare, ma difficile da digerire.
  • L’amico vero nun dicette, ma facette.
L’amico vero non disse, ma fece.

Agisce, non parla.
  • L’ammore d’ ‘o lietto fa scurdà chello d’ ‘o pietto.
L’amore dei sensi fa dimenticare quello sentimentale..
  • L’ammore è comm’ ‘o ffuoco, guaje a chi ce pazzea.
L’amore è come il fuoco, guai a scherzarci.
  • L’ammore è fatto a coselle.
L’amore è fatto di piccole cose.

Tante piccole reciproche continue premure.
  • L’ammore e lu cetrulo vanno a pparo; Doce è la ponta ma lo culo è amaro.
L’amore ed il cetriolo si somigliano; dolce è l’inizio ma il fondo è amaro.
  • L’ammore è na brutta cosa, e la famma è na brutta bestia.
L’amore è una brutta cosa e la fame è una brutta bestia.

L’amore non ricambiato e la fame causano sofferenze terribili.
  • L’ammore è ‘nu piccerillo ca nun sape cuntare.
L’amore è un bambino che non sa contare.

L’amore è avventato.
  • L’ammore fa passà ‘o tiempo e ‘o tiempo fa passà l’ammore.
L’amore fa passare il tempo e il tempo fa passare l’amore.
  • L’ammore nu’ s’accatta e nu’ se venne.
L’amore non si compra e non si vende.
  • L’ammore nun va truvanno ricchezza.
L’amore non chiede ricchezza.
  • L’avvucato spoglia ‘e vive e ‘o schiattamuòrto ‘e muòrte.
L’avvocato spoglia i vivi e il becchino i morti.
  • L’ommo adda arapi’ ‘a porta cu ‘e piede.
L’uomo deve aprire la porta (di casa) con i piedi.

Le mani devono essere sempre ricolme di doni per la donna amata.
  • L’ommo p’ ‘a parola, e ‘o voje p’ ‘e corne.
L’uomo (si lega) con la parola e il bue per le corna.
  • L’ommo senza denare è ‘nu muòrto che cammina… 
L’uomo senza soldi è un morto che cammina…
  • L’ommo sàpio dòmena le stelle.
L’uomo saggio domina le stelle.
L’uomo saggio non si lascia schiacciare dalle avversità del destino; affrontandole con risolutezza può superarle.
  • L’uosse viecchie cunnisce au pignate (oppure acconze au brore)!
L’osso vecchio condisce la pignatta (oppure aggiusta il brodo)!
Le parole di un anziano hanno il gusto, la saggezza che dà ad esse l’esperienza.
  • L’ùmmele è comm’a ‘na palla ‘e gomma: chiù ‘a sbatte ‘nterra e chiù zompa ‘ncielo!
umile è come una palla di gomma: più la sbatti a terra e più salta in cielo!

Ci sono persone così remissive ed umili che tanto più si umiliano quanto più vengono mortificate.
  • La faccia tosta è na massaria.
La faccia tosta è (vale) una masseria.’

La faccia tosta rende molto.
  • La femmena è na carne, che te vene nsavuorio, e se desprezza, si la sauza nun ha de la bellezza.
La donna è una carne che ti viene a fastidio, e si disprezza, se la salsa non ha della bellezza.
  • La femmena tene li 7 spirete comm’a la gatta.
La donna ha i sette spiriti come la gatta.
  • Lassa ca ‘o bastimiento va ‘nfunno, abbasta ca mòreno ‘e zzòccole.
Lascia (pure) che la nave vada a fondo, basta che (purché) muoiano i ratti.

“Mi spezzo ma non mi piego”: una volontà decisa a conseguire un obiettivo con inflessibile risolutezza, costi quel che costi.
  • Lassa correre ‘o munno comme va.
Lascia correre il mondo così come va. Lascia che il mondo vada per il suo verso.
  • Li denare acquistate co lo nfi nfi ri nfà, se ne vanno co lo nfi nfi ri nfi.
Il denaro guadagnato con facilità o in modo disonesto, viene sperperato velocemente.
  • Li male covernate li coverna Dio.
I mal governati li governa [Dio]

Per chi vive nel disprezzo di qualsiasi principio etico ci pensa Dio.
  • Liberté, égalité, fraternité: piglia ‘o tuio e dallo a mme! / spugliàteve vuie e vestìteme a mme!
Libertà, uguaglianza, fraternità: prendi il tuo e dallo a me! / – (variante) – / spogliatevi voi e vestite me!

[Le] alcinesche seduzioni […] della Dea Giustizia e della Dea Umanità.
  • Ll’avvocato fesso è cchillo ca va a leggere dint’ ‘a ‘o codice.
L’avvocato sciocco è quello che consulta il codice.
Non solo perché dovrebbe già conoscerlo a menadito, ma anche perché un avvocato davvero abile cerca innanzitutto una soluzione che eviti i tempi e i costi di un’azione legale.
  • Ll’èrva ca nu’ vvòglio a ll’uórto mio nàsce.
L’erba che non voglio cresce (proprio) nel mio orto.

Proprio a me capita quello che meno mi auguro.
  • Lo buono amico dura porzi’ dapo’ la morte.
Il buon amico dura perfino dopo la morte.
  • Lo cane arraggiato nce lassa lo pilo.
Il cane arrabbiato ci lascia il pelo.

Bisogna contenere l’ira, perché, accecati da essa, si rischia di dire o fare cose che potrebbero tornare a nostro danno.
  • Lo castigo a la moglie co’ la mazza se dà de la vammace.
La moglie si castiga con il bastone di ovatta.
  • Lo denaro de la capèra è denaro che sa de fèle.
Il denaro della pettinatrice (parrucchiera, acconciatrice a domicilio) è denaro che sa di fiele.

È infatti faticoso il continuo salire e scendere dalle abitazioni. Non facile e spesso spiacevole trattare clienti difficili, estremamente vanitose che, per minimi dettagli di cui non fossero soddisfatte, facevano piovere aspri rimproveri sull’acconciatrice, che disponeva però di un’efficace risorsa strategica per distrarre la cliente e renderla più malleabile: il pettegolezzo, di cui erano oggetto erano le cose confidate o apprese dalla cliente servita prima. Questo faceva della capera un’efficace mezzo di diffusione dei fatti del quartiere sui quali tutti finivano per essere informati ed aggiornati. Per questa ragione il termine capera è tuttora in uso, benché le acconciatrici a domicilio di un tempo non ci siano più, col significato di pettegola ed anche pettegolo se il cultore del pettegolezzo è un uomo.
  • Lo munno monna.
Il mondo spoglia.
  • Lo sopierchio rompe lo copierchio.
Il soverchio rompe il coperchio.

Il troppo fa danno.
  • Lo troppo scommerzare fa l’ommo tristo, e chino de malizia.
Il troppo commerciare rende l’uomo cattivo e pieno di malizia.
  • Lo viento non trase, addò non ne pò’ ascire; lo sospetto, addò trase, ‘na vota, non esce, cchiù; l’onore, da dove esce, na vota, non nce trase, cchiù.
Il vento non entra dove non può uscirne; il sospetto, dove entra una volta, non esce più; l’onore da dove esce una volta non (c’)entra più.
  • Lo voje chiamma cornuto a ll’aseno.
Il bue chiama cornuto l’asino.

Ognuno vede e critica nell’altro i difetti propri.

M

  • Maccarune, carne e vino a cannata, buon sango fanno pe’ tutta l’annata.
Maccheroni, carne e vino a garganelle, fanno buon sangue per tutto l’anno.
  • Male e bene a fine vene.
Male e bene terminano.

Non avvilirti, nessun male è eterno; non insuperbirti, nessun bene dura per sempre.
  • Mar’-Isso sposa ‘Mar’-essa e fanno ‘mar’-a-loro.
Povero lui sposa povera lei e fanno poveri loro.
  • Mmeglie a mmurì sazie, ca a ccampà riune.
Meglio morire sazio, che vivere digiuno.
  • [‘E] meglio amice so’ chill’ ‘e ‘rint’ ‘e sacche.
I migliori amici sono quelli di dentro le tasche.

I migliori amici sono i soldi.
  • Meglio auciello ‘e campagna ca de gajola.
Meglio uccello di campagna che di gabbia.

Meglio la libertà anche nell’insicurezza che senza libertà con il cibo sicuro.
  • Meglio ave’ a ‘cche fa cu’ ‘nu male pavatore ca cu ‘cchi nun capisce.
Meglio aver a che fare con un cattivo pagatore che con chi non capisce.

La stupidità supera qualsiasi difetto ed è sempre temibile perché non si può mai prevedere ciò che potrebbe mettere in atto.
  • Meglio è marito purciello [var: sporcillo, sporcello] c’ammico ‘mperatore.
È meglio un marito male in arnese che un amico imperatore.

Neppure l’amicizia di un imperatore può valere quanto un legame familiare.
  • Meglio è sentì rummore ‘e catene ca rummore ‘e campane.
Meglio sentire rumore di catene che rumore di campane.

Meglio il carcere che il matrimonio.
  • Meglio nu ciuccio vivo, ca nu duttore muorto.
Meglio un asino vivo, che un dottore morto.

Si diceva di studenti che per l’eccessivo impegno impallidivano e deperivano.
  • Meglio scommunecato ca commenecato de pressa.
Meglio scommunicato ca communicato ‘e pressa.: meglio scomunicato che comunicato in fretta.

Meglio scomunicati, ma vivi, che ricevere l’Eucaristia, il viatico in punto di morte. Meglio subire un danno morale che uno fisico.
  • Meglio sulo, che male accompagnato.
Meglio solo che in cattiva compagnia.
  • Mercante è chi perde e mercante e chi guadagna.
Buon mercante è anche chi con coraggio affronta un rischio benché l’esito non sia stato favorevole.
  • Mercante e puorce apprezzale muorte o a puorto.
Mercanti e maiali apprezzali morti.

I primi per la ricchezza che lasciano, i secondi per le carni.
  • Mercante falluto è miezo arreccuto.
Mercante fallito è mezzo arricchito.

Può accadere che il fallimento di un’attività procuri vantaggi allo stesso fallito.
  • Mercante falluto n’abbada a nteresse.
Mercante fallito non bada ad interesse.

Non si fa troppi scrupoli sui mezzi da impiegare per salvarsi.
  • Mpàrate a parlà e nun a faticà!
Impara a parlare e non a lavorare

Il ciarlatano abile a spacciare le sue ciurmerie lucra senza fatica molto più di chi lavora duramente.
  • Muonece, prievete e pisce ‘e funno, magnano, beveno e fottono ‘o munno.
Monaci, preti e pesci di fondale, mangiano, bevono e fregano il mondo.
  • Musso ‘e purciello, spalle d’aseniello, aurecchie ‘e mercante. oppure Musso ‘e porciello, spalle d’aseniello, e recchie ‘e mercante.
Muso del maiale, spalla dell’asino, orecchie di mercante.

Tre cose ugualmente dure ed insensibili.

N

  • N’ora de buon puorto fa scordare cient’anne de fortuna.
Un’ora di porto tranquillo fa dimenticare cento anni di fortuna avversa.
  • Na cosa è de parlà de morte e n’auta è a morì.
Una cosa è parlare di morte e un’altra morire.

Si può parlare di argomenti scabrosi con un atteggiamento di superiore distacco solo finché non se ne fa diretta e dolorosa esperienza.
  • Na noce dint’ ô sacco nun fa remmore.
Una sola noce nel sacco non fa rumore.

Da soli si ottiene poco, in molti molto.
  • Napulitane: larghe ‘e vocca e stritte ‘e mane.
Napoletani: larghi di bocca e stretti di mano.

I napoletani sono generosi soltanto a parole.
  • Nce capimme a sische, diceva ‘o merulo â mugliera.
Ci capiamo a fischi, diceva il merlo alla moglie.
  • Nce ponno cchiù ll’uocchie ca le scuppettate.
È più potente il malocchio che le fucilate.
  • Nce vo’ pacienza a magna’ le carcioffole.
    Ci vuole pazienza per mangiare i carciofi.

    Ottenere ciò che è piacevole richiede impegno, pazienza e tenacia.
  • Ncoppa a lo tuorto chieja le spalle.
Se hai (sopra il) torto piega le spalle.

Se hai torto riconoscilo umilmente.
  • Nè amicizia reconciliata, né menestra scarfata, né vajassa retornata.
Né amicizia riconciliata, né minestra riscaldata, né serva ritornata.

Perché non più buone ed affidabili come un tempo.
  • Né femmena, né tela, a lumme de cannela.
Né donna né tela a lume di candela.

Prima di scegliere apri bene gli occhi, non lasciarti persuadere solo da un’apparenza piacevole.
  • Né pane senza pena, né carne senz’uosso, né vino senza feccia
Né pane senza pena (faticoso lavoro), né carne senza osso, né vino senza feccia.

Nulla si ottiene senza sopportare anche difficoltà, inconvenienti.
  • Né tanto doce, ch’ogn’uno te zuca, né tanto amaro, ch’ognuno te sputa.
Né tanto dolce, che ognuno ti succhia, né tanto amaro, che ognuno ti sputa.

Né troppo buoni per non essere sfruttati, né tanto cattivi da essere evitati da tutti.
  • Nic-nic p’a canna jètt’ô ‘Nfierno
Nic-nic per la gola andò all’Inferno.
  • Nisciuno è nato ‘mparato.
Nessuno è nato istruito, saggio, esperto.

Nisciuno è nato mparato: tutto chello ca sapimmo ce l’avimmo mparato. Nuie nun dicimmo niente ca nun è stato già ritto e, si ricimmo coccosa ‘e inteliggente, ce l’anno mparato ll’uommene inteliggente. Nessuno è nato sapiente: tutto quello che sappiamo l’abbiamo imparato. Noi non diciamo niente che non sia stato già detto e, se diciamo qualcosa di intelligente, ce l’hanno insegnato gli uomini intelligenti.
oppure

È inevitabile commettere errori, si impara con l’esperienza.
  • No nc’è miseria senza vizio.
Non c’è miseria senza vizio.

I vizi riducono in miseria.
  • No sputare ncielo, ca nfaccia te torna.
Non sputare in cielo, che in faccia ti torna.

Non offendere persone o cose degne di rispetto, di venerazione, perché l’onta e la punizione ricadranno su di te.
  • Non carrecà troppo l’arcabuscio, ca schiatta.
Non mangiare troppo, perché scoppierai.
oppure:
Non annoiare, non insistere oltremodo, perché nessuno vorrà più ascoltarti.
oppure:
Non esagerare con le provocazioni, perché reagirò con durezza.
  • Non c’è cchiù mmeglio misso ca te stisso.
Non c’è miglior messo che te stesso.
  • Non chello ca te sàtura, ma chello ca t’onora!
Non (cercare) quello che ti sazia (arricchisce), ma quello che ti onora!
  • Non dicere, quanto saje; non fare, quanto puje; nun te magna’, quant’haje.
Non dire quanto sai; non fare quanto puoi, non mangiarti quanto possiedi.

Misura: nel parlare, sempre con riservatezza e discrezione; nel fare, per non correre il rischio di essere sfruttati; nelle spese, per non restare sprovvisti in caso di necessità.
  • Nu’ chiammà triste, ca pejo te vene! decette ‘a vecchia a Nerone.
Non lamentarti per le avversità, perché ti verrà (accadrà di) peggio! disse la vecchia a Nerone.
  • Nun pazziàmmo a ffà male, alluccàva ‘o sorece ‘mmiez’ ‘e cianfe d’ ‘a jàtta.
Non giochiamo a far male, gridava il topo fra le grinfie della gatta.

Ultime parole di uno sventurato topo: esprimere un desiderio sapendo con certezza che non verrà mai esaudito.
  • Non po’ lo cravonaro fare che non ce tegna.
Non può il carbonaio fare in modo che non ci macchi (tinga).

Non si possono frequentare persone disoneste senza subirne l’influenza.
  • Non puje dicere a sto surco nce voglio passà.
Non puoi dire: per questo solco non ci voglio passare.

Non si può mai escludere di dovere per necessità superare la propria riluttanza a fare qualcosa o accettare l’aiuto della persona da cui meno giunge gradito.
  • Nu’ te piglià collera, ca ‘o zuccaro va caro.
Non arrabbiarti, non amareggiarti perché lo zucchero costa molto.
  • Nun aprì ll’uocchie a li gattille.
Non aprire gli occhi ai gattini.

Non ti conviene scaltrire gli ingenui.
  • Nun c’è dièbbeto che nun se pava, nun c’è peccato che nun se chiàgne.
Non c’è debito che non si paghi, non c’è peccato che non si pianga.
  • Nun c’è sabbato senza sole, nun c’è femmena senz’ammore.
Non c’è sabato senza sole, non c’è donna senza amore.
  • Nun ghi’ a spugliarte arret’a lanterna ca ‘o meglio amico tuje t’arrobba ‘e panne.
Non andare a spogliarti dietro al faro, perché il miglior amico tuo ti ruba i vestiti.

Ci sono cose che bisogna custodire con il riserbo più assoluto; non tutto può essere rivelato, neppure al migliore amico.
  • Nun perde ‘o cereviello chi nun ‘o tene!
Non perde il cervello (impazzisce) chi non ce l’ha!
  • Nun purta’ serenata a ‘a casa d’ ‘e sunature.
Non portar serenate in casa dei suonatori.

Non può riuscirti di mettere nel sacco chi di imbrogli vive.
  • Nun se pò avere grieco, e cappuccio.
Non si può avere buon vino, e cappuccio.

Non si può essere virtuosi e darsi ai piaceri.
  • Nun se po’ vennegnare e ppiglià le ffescene.
Non si può (prima) vendemmiare e (poi) prendere i cesti.

È assurdo aspettarsi un risultato valido, agendo in modo illogico.
  • Nun te mettere ntra la ‘ncunia e lo martiello.
Non metterti tra l’incudine e il martello (fra due litiganti).
  • Nun vaga scauzo chi semmena spine.
Non vada scalzo chi semina spine.

Il male finisce col ritorcersi su chi lo fa.
  • Nun vàlene tanta sunate ‘i campane, quant’a na bona calata ‘i sole!
Non valgono tanti rintocchi a distesa di campane, quanto un buon tramonto!

Non è conta tanto aver vissuto una vita colma di successi e di onori, più importante è morire onoratamente.

O

  • O bbene tanto se canòsce quanno se perde…
Il bene si conosce quando si è perso.

Si comprende l’importanza di cose e persone care e si rimpiangono amaramente quando ormai non ci sono più.
  • O Cielo sente ‘o jùsto e ‘o peccatòre.
Dio ascolta il giusto ed il peccatore.

Dio premia, ma sa anche comprendere e perdonare.
  • O cane ‘e buórdo: allucca assaje e nun mozzeca maje
Il cane di bordo: abbaia (lett. grida) molto e non morde mai.

Proverbio di Sorrento
  • O cane mozzeca ‘o stracciato.
Il cane morde lo straccione.

La sorte si accanisce sugli sventurati, sono sempre i deboli ad essere calpestati.
  • O cavero d’ ‘o lietto nun ave mai cuotte ‘e fasule.
Il caldo del letto non ha mai cotto i fagioli.

L’ozio non dà pane.
  • O chiù bunariello tène ‘a guàllara e ‘o scartiello.
L’uomo più buono ha l’ernia e la gobba.

Nessun uomo è immune da colpe o vizi.
  • O cielo te scanza da buono vecino, da caruta vascia, da marito ‘mbriaco e mogliera gelosa.
Il cielo ti scampi da buon vicino, da caduta bassa, da marito ubriaco e moglie gelosa.
  • O cielo te scanze da chello che manco te pienze.
Il cielo ti scampi da quello che neppure immagini.
  • O core nun se fa màje viècchio.
Il cuore non invecchia mai.

A qualsiasi età si possono avere sentimenti, provare emozioni, sentire passioni; il cuore non è mai vecchio.
  • O cortiello ferisce e ‘o fotero accusa.
Il coltello ferisce e il fodero accusa.

Impossibile occultare del tutto un’azione turpe perché lascia sempre una sia pur minima traccia.
  • ‘O cucchiere ‘affitto te piglia | cu ‘o «signurì» e te lassa | cu ‘o «chi t’è muorto».
Il cocchiere pubblico ti prende dandoti del «Signoria» | e ti lascia (se non soddisfatto del compenso) , | bestemmiando i tuoi defunti.

È di questo genere la cortesia degli adulatori.
  • O cummanna’ è meglio d’ ‘o fottere.
Comandare è meglio che copulare.
  • O deritto more sempe pe’ mano d’ ‘o fesso.
L’uomo sveglio muore (è ingannato) sempre per mano dello stupido.

È proprio la sua scaltrezza che fa velo al giudizio dell’uomo desto: sottovalutando lo stupido, incorre in un errore fatale.
  • O diavulo è banchiere.
Il diavolo è malvagio
  • O diavulo sape assaje cose, pecché è viecchio
Il diavolo sa molte cose, perché è vecchio.

Il diavolo è antico quanto il male nel mondo.
  • O miedeco tene tre facce: d’ommo quanno nun serve, d’ angelo quanno è necessario e d’ ‘e diavulo quanno è fernuta ‘a malatia.
Il medico ha tre facce: d’uomo quando non serve, di angelo quando è necessario e di diavolo quando è guarita (finita) la malattia (e bisogna pagarlo.)
  • O monaco tene ‘nu vraccio curto e n’ato luongo.
Il monaco ha un braccio lungo e un altro corto.

Il braccio corto dà, il lungo prende.
  • nniente è sempe niente.
Il niente è sempre niente.

Il surrealismo del poverissimo: al niente, anche a volerci dare importanza, quale gli si potrà dare più del niente?
  • O padrone d’ ‘a rezza se magna saurielle
Il padrone della rete mangia piccoli sgombri.

Non è raro che proprio chi produce e vende qualcosa ne resti poi privo per sé stesso.
Proverbio di Sorrento
  • O parla’ chiaro è fatto pe ‘ll’amice.
Il parlar chiaro è fatto per gli amici.

Gli amici devono parlarsi con sincerità.
  • O pastore c’avanta ‘o lupo nun vô bene ‘e pecore.
Il pastore che vanta il lupo non vuol bene alle pecore.

Bisogna scegliere senza ambiguità da che parte stare: o da una parte o dall’altra.
  • O pesce fete d’ ‘a capa.
Il pesce puzza (a cominciare) dalla testa.

La responsabilità di ciò che non va bene ricade innanzitutto sull’incapacità, la disonestà di chi comanda.
  • O prèvete dice: Facìte chello ca dico io, ma nun facite chello ca faccio io.
Dice il prete: Fate quello che dico io, ma non fate quello che faccio io.
  • O primm’anno p’ ‘o nemico, ‘o secondo pe’ l’amico, ‘o terzo per me.
Il primo anno per il nemico, il secondo per l’amico, il terzo per me.

Una casa da poco costruita è ancora umida ed insalubre. Per questo, il primo anno si dà in abitazione al nemico, il secondo all’amico, il terzo, quando finalmente non c’è più umidità, può essere abitata dal proprietario.
  • O primmo miedeco è Dio.
Il primo medico è Dio.

Le preghiere prima, poi la cura.
  • O puorco chiatto se cócca sempe ‘ncuoll’a ‘o sicco.
Il maiale grasso si corica sempre addosso al magro.

Il forte, il potente grava sempre sul debole sfruttandone il lavoro.
  • O puorco miettence ‘a sciassa, sempe ‘a coda ‘nce pare.
Anche se vesti il maiale con la marsina si vedrà comunque la coda.

La vera natura di una persona resta inalterata e affiorerà sempre, per belle che siano le apparenze di cui si rivesta.
  • O purpo se còce cu ‘ll’acqua soja
Il polipo su cuoce con la sua (stessa) acqua.

Si impara a proprie spese.
  • O rangio sulo pe’ ‘ffamma jèsce d’ ‘a caramma
Il granchio solo per fame esce dalla grotta.

La fame, il bisogno costringono ad agire.
Proverbio di Sorrento
  • O regno ‘e Napule è ‘nu paraviso, ma è abitato da ‘e diavule.
Il Regno di Napoli è un paradiso, ma è abitato dai diavoli.
  • O sacco vacante | nun se mantene allerta.
Il sacco vuoto (l’uomo che non può mangiare) | non si regge in piedi.
  • O sàzio nun crére a ‘o diùno.
Chi è sazio non crede al digiuno.
  • O sfizio d’ ‘o viento è ‘a mmùmmera!
Il godimento del vento è l’anfora!

Come il vento si compiace di mutarsi in suono passando per l’imboccatura dell’anfora così chi si burla di qualcuno prova più gusto se chi viene messo in canzonatura, essendo estremamente suscettibile, prende fuoco al più piccolo “tocco”.
  • O stommaco nun ‘o faie fesso.
Lo stomaco, la fame non li inganni.
  • O tiémpo è ggalantòmmo.
Il tempo è galantuomo.

Il tempo dissipa la cortina di menzogne che offusca la verità e rende così giustizia.
  • Ogge in figura, dimane in sepoltura.
Oggi al culmine della fama, domani sepolto (e dimenticato).

Vanità delle vanità, dice Qoèlet, | vanità delle vanità, tutto è vanità.
  • Ogne bella scarpa addeventa scarpone.
Ogni bella scarpa diventa scarpone.

La bellezza e lo splendore della gioventù non durano per sempre, il tempo a poco a poco li attenuerà fino a esaurirli.
oppure

Ogne cosa  bella che sia quanno tira tropp’ a lluongo se fa brutta. Ogni cosa per bella che sia quando dura troppo a lungo, quando va troppo per le lunghe, si fa brutta.
  • Ogne brutto cane tene na bella coda. 
Ogni brutto cane ha una bella coda.

Nascosta in ogni persona, anche in quella meno attraente o simpatica, c’è sempre una goccia d’oro, una qualità positiva che va scoperta ed apprezzata.
  • Ogne capa è ‘nu tribbunale.
Ogni testa è un tribunale.

Ognuno valuta e di giudica secondo i suoi personali criteri.

Tot capita, tot sententiae. (Quante teste tanti pareri). (Proverbi latini)
  • Ogne cuffia p’ ‘a notte è sempe bona, e a ‘o scuro ‘a vajassa è bella e bona quant’ ‘a madama.
Ogni cuffia per la notte è sempre buona, e, al buio, la serva è bella e procace quanto la nobile.
  • Ogne cuòllo e butteglia trova ‘o sùvero ca l’appìla.
Ogni collo di bottiglia trova il sughero che la tappa.

Una donna, anche non del tutto avvenente, è comunque desiderabile e prima o poi trova chi sappia apprezzarne le qualità più riposte…
  • Ogne erva nun è amenta.
Non tutta l’erba è menta.

Non tutte le erbe hanno gradevole profumo: le apparenze spesso ingannano.

Ogni uomo non è galantuomo, Abito non fa monaco. 
  • Ògne lignàmmo tène ‘o fùmmo sùio.
Ogni legno fa un suo fumo.

Ogni uomo ha il proprio carattere.
  • Ogne mpedemiento è giuvamiento.
Ogni impedimento è giovamento.

Non tutto il male vien per nuocere. (Proverbi italiani)
  • Ògne scarrafóne è bbèllo ‘a màmma sóia.
Ogni scarafaggio è bello per la propria madre.
  • Ogne tiémpo vène.
Ogni tempo viene.

Ogni cosa accade quando è giunto il suo momento.
  • Ognerune ss’aiute cu ll’ogna soie – recette u ciuccie!
Ognuno si aiuta con le proprie unghie – disse l’asino!

Così commenta Domenico Apicella: Fin dall’antico si racconta che un leone ed un asino dovevano percorrere una strada molto scabrosa. Il leone propose all’asino di portarsi in groppa l’un l’altro per mezza strada ciascuno, in maniera da ridurre il disagio a metà. L’asino aderì, e toccò prima al leone di farsi portare. E poiché gli sballottolamenti minacciavano di farlo cadere di groppa, si sistemò ficcando le unghie nella carne del malcapitato asino, scusandosi, alle proteste ed ai lamenti di questo, che egli aveva soltanto le unghie per potersi aiutare. Quando, però, il leone andò a sua volta sotto, l’asino, per evitare di cadere, sfoderò la sua quinta zampa e gliela ficcò netta netta nel didietro. Alti, allora, i gridi del leone, e l’asino, per rabbonirlo, esclamò a sua volta parole che han dato vita al recette, il cui senso, nella vita pratica, è molto chiaro.
  • Ognuno è ricco e guappo a casa soja.
Ognuno è ricco e spavaldo (e quindi re) a casa sua.
  • Ommo de vino diece a carrino.
Uomo di vino (ne compri) dieci con un solo carlino.

L’uomo ubriaco non vale e non serve a nulla.
  • Ommo ‘nzurato, ommo ‘nguajato.
Uomo sposato, uomo inguaiato.

P

  • P’u zappielle ogne figlie e nu carusielle.
Per il contadino ogni figlio è un salvadanaio.
  • Pale a dderitte e arche tunne, può mantêne u munne.
Con palo diritto ed arco tondo, puoi mantenere il mondo (possono essere sopportati, sostenuti pesi enormi).
  • Panariello va, panariello vene, l’amicizia se mantene.
Un paniere va, uno viene, l’amicizia si conserva.
L’amicizia comporta reciprocità.
  • Pane co ll’uocchie, caso senz’uocchie, e bino che te mpacchia ll’uocchie.
Vuol dire, per buona qualità il pane ha da esser con gli occhi, il formaggio senza occhi, ed il vino che t’incolli per briachezza gli occhi.
  • Paro para piglie, e para piglie paro.
Un pari prende una pari, e una pari prende un pari.

Bisticcio popolare antico parlandosi di matrimoni, dove si consiglia di prendere uomo o donna di pari condizione, costumi, ec.
  • Parrucchià, hanno rotta ‘a campana. Chi l’ha rotta, ‘a pava. È stato ‘o nepote vuosto… Allora è stata ‘na disgrazia…
Padre, (parroco) hanno rotto la campana. Chi l’ha rotta, la paga. È stato il nipote vostro… Allora è stata una disgrazia…

Si è sempre inflessibili nell’esigere la dovuta riparazione dal colpevole, vero o presunto; tutto cambia però, completamente, se si tratta di una persona legata a noi…
  • Passa crapa zoppa si nun trova quarcuno, che la ntoppa.
variante:
  • Passa crapa zoppa,
    Se non trova chi la ‘ntoppa.
Passa la capra zoppa, se non trova chi la ostacola.

Tutti possono riuscire, se non vengono intenzionalmente posti ostacoli.
  • Pazze e piccerille Dio l’ajuta.
Pazzi e bambini Dio li aiuta.
  • Pazzo chi joca e pazzo chi nun ghioca.
Pazzo chi gioca e pazzo chi non gioca

È follia giocare (a carte o al lotto), lo è altrettanto non tentare qualche volta la sorte, non osare mai nella vita.
  • Pe’ despietto ‘e muglierema me taglio ‘o cazzo.
Per far dispetto a mia moglie mi taglio il pene.

Una ben paradossale vendetta: vendicarsi di un altro danneggiando irreparabilmente sé stessi.
  • Pe’ ffà ‘o Papa s’ha dda sapè fà ‘o sacrestano
Per fare il Papa bisogna (prima) saper fare il sacrestano.
  • Pe’ mare nun nce stanno taverne.
Sul mare non ci sono taverne.
  • Pe’ n’aceno ‘e sale se perde ‘a menesta.
Per un grano di sale si perde (rovina) la minestra.

Tutto il lavoro fatto va in rovina solo per essersi risparmiati un ultimo piccolo sacrificio, per aver trascurato un piccolo dettaglio.
  • Pe ssazià a na rosse, nun abbàstene sette muónece e na caurare ‘allesse!
Per appagare, per saziare una rossa non bastano sette monaci e una caldaia di… castagne lesse!
  • Pe tornise canta lo cecato.
Per tornesi (soldi) (anche) il cieco canta (diventa allegro).
  • Peccate viecchie penetenzia nova.
(A) peccato vecchio penitenza nuova.
  • Pietto forte vence mala sciorta.
Un animo risoluto vince la cattiva sorte.
  • Piglia tiempo e campa: ca ‘o tiempo ‘a ogne male scampa.
Prendi tempo e vivi perché il tempo scongiura ogni male.
  • Piscia chiaro, e fa lo fico a lo miedeco.
Urina chiaro e prenditi gioco del medico.

La salute si mantiene con una corretta alimentazione.
  • Pizzeche e vase nun fanno pertose e maniate ‘e zizze nun fanno criature.
Pizzichi e baci lasciano intatta la verginità (non fanno buchi) e palpeggiamenti di seno non ingravidano (non fanno bambini).
  • Po cchiù nu pilo che no trave.
Ad ottener favori, o giustizia vale spesso più una preghiera di donna, che tutto il merito e i requisiti che vuoi.
  • Poco parole, e caudo de panne, non fece maje danne.
Il parlar poco (poche parole) e il coprirsi bene (caldo di abiti) non fecero mai danni (possono solo recare benefici).
  • Ppenze a Ddie,  te faie sante!
Pensa a Dio. che ti fai santo!
  • Primmo, penza, a te; po’, a li tuoje; po’, a chi puoje.
Per primo pensa a te, poi ai tuoi, poi a chi puoi.
  • Pulicenella pe ‘na votata ‘e mente addiventaie miedico eccellente.
Pulcinella, la persona di cui meno lo si sarebbe potuto pensare, si ritrovò, per un’alzata d’ingegno, medico eccellente.

Un’improvvisa intuizione può risolvere i problemi più intricati.
  • Pulecenella quanno va ‘ncarrozza tutte ‘o vedeno, quanno tira, nisciuno ‘o vede.
Tutti vedono Pulcinella quando va in carrozza, quando tira, nessuno lo vede.

Tutti notano e forse criticano un povero se talvolta è vestito a festa o se si gode un momento di libertà; nessuno però si accorge di lui quando lavora duramente.

Q

  • Quanne u cule ntrone. ‘a mmerde sta nterre!
Quando il culo rintrona, la merda sta a terra (cioè, lo sfarzo è indice di dissesto)!
  • Quanno ‘a cumèta ‘o vvo’, dàlle ‘o ccuttòne.
Quando l’aquilone lo vuole, dagli spago (il cotone).

Ascolta con interesse, mostra di credere, compiaci pure, anzi, dai senz’altro corda allo spaccone, al farabolone che racconta le più colossali fandonie a briglia sciolta, perché, non si sa mai, nella vita potresti avere bisogno anche di lui.

Vulgus vult decipi, ergo decipiatur. (Proverbi latini)
  • Quanno care ‘o ciuccio, ne levammo ‘e fierre.
Quando l’asino cade ne togliamo i ferri.
  • Quanno cchiù arrevuòte ‘a munnèzza, cchiù puzza.
Quanto più rivolti la spazzatura, più puzza.

Più si va a fondo in una affare losco, più si scoprono azioni riprovevoli, illecite non di rado compiute da chi sembra al di sopra di ogni sospetto.
  • Quanno l’ommo manco se lo ppenza, le grazie soje chiovelleca lo cielo. 
Quando l’uomo neppure se lo immagina, il cielo fa piovere le sue grazie.
  • Quanno la formicola vo morire mette le scelle.
Quando la formica vuole morire mette le ali. (lett.: le ascelle)

“Mettere le scelle”, montare in superbia: una temeraria imprudenza estremamente rischiosa per chi è debole.
  • Quanno lo malanno vò venire, trase pe le spaccazze de la porta.
Quando la malattia vuole venire, entra dagli spiragli della porta.
  • Quanno n’amico te vene a truva’, cocche cosa le mancarrà.
Quando l’amico viene a farti visita (ti viene a trovare), è segno che ha bisogno di qualcosa.
  • Quanno Natale nata, ‘a faùce mète.
Quando Natale nuota (è molto piovoso) la falce miete.

Se il Natale è molto piovoso, il raccolto sarà abbondante.
  • Quanno nun costa niente, ùgne pe’ tutto….
Visto che non costa niente, ungimi tutto….

Neppure in articulo mortis questo avaro esemplare ed eccelso scroccone si smentisce: ricevute le indispensabili preliminari rassicurazioni sulla completa gratuità dell’estrema unzione e calcolando che l’efficacia del viatico sia rafforzata dalla quantità impiegata, raccomanda al sacerdote di non lesinare neppure una goccia di olio consacrato e di procedere senz’altro ad un’estrema unzione totale.
  • Quànno ‘o cùlo se fa pesànte ce ne iàmmo p’e sànte.
Quando il sedere diventa pesante andiamo dai santi.

Verso la fine della vita spesso ci si accosta alla religione.
  • Quanno ‘o mare sta ntempesta, tutta ‘a purcaria assomma ‘ncoppa.
Quando il mare è in tempesta, tutta la porcheria sale a galla.

In periodi tempestosi di rivolgimenti, di guerre, di crisi, emergono e prosperano i peggiori tipi umani che acquistano di colpo prestigio e rispetto.
  • Quanno ‘o mellone esce russo, ognuno ne vo”na fella.
Quando l’anguria è rossa, ognuno ne vuole una fetta.

Quando è ormai certo che un’iniziativa, una situazione presenta solo vantaggi e nessun rischio, ognuno vuole prendere parte ai benefici.
  • Quanno ‘o riàvule tujo jeva ‘a scola ‘o mio era maestro.
Quando il diavolo tuo andava a scuola il mio era maestro.

Ti credi furbo, ma io, che sono più vecchio, la so molto più lunga.
  • Quanno ‘o tavernaro sta ‘mmocca â cantina, into nu’ ‘nc’è nesciuno.
Quando l’oste sta all’uscio della cantina, dentro non c’è nessuno.

Oste all’uscio in cerca di clienti: il locale è poco frequentato.
oppure

Donna affacciata che mostra di gradire gli sguardi dei passanti: la donna è disponibile e in casa non c’è nessuno.
  • Quanno scura ‘a muntagna, piglia ‘a zappa e ba guaragna; quanno scura ‘a marina, piglia ‘o pegnato e ba ‘ncucina.
Quando il tempo s’infosca sulla montagna, prendi la zappa e lavora (vai [e] guadagna), quando il tempo si oscura alla marina prendi la pignatta e vai cucina (resta a casa).
  • Quanno se parte Saverio re Massa, re lampe e re truóne ‘u munno s’abbissa
Quando parte Saverio di Massa, di lampi e di tuoni il mondo è sommerso.

Fare fiasco fin dal pricipio.
  • Quanno uno s’à da mbriacare è meglio che se mbriacasse de vino buono.
Quando ci si deve ubriacare è meglio che ci si ubriachi di vino buono.

Se proprio si vuole fare una follia, che almeno ne valga la pena.
  • Quatto li cose a ‘o munno ca fanno cunzula’: ‘a femmena, l’argiamma, lo suonno e lo magna’… 
Quattro le cose al mondo che consolano: la donna, il denaro, il sonno ed il mangiare…
  • Quanno siente ‘o latino d’ ‘e fesse, sta venenno ‘a fine d’ ‘o munno.
Quando senti il latino dei fessi, sta venendo la fine del mondo.

Quando a comandare sono gli incompetenti, è la catastrofe.
  • Quanno si ncunia statte, e quanno si martiello vatte.
Quando sei incudine sopporta, e quando sei martello batti.
  • Quanno vedite nespole tremmate – Chisto è ll’urdemo frutto de la state.
Quando vedete nespole tremate. Questo è l’ultimo frutto dell’estate. (L’estate è finita).

R

  • Reselle ‘i fémmene, caparre pe ll’omme.
Sorriso di donna, caparra per l’uomo.

Ogni volta che faccio ridere una donna sento che ho fatto un passo dentro di lei.
  • Rice sì, ca nun è peccato.
Dici di sì, che non è peccato.

Asseconda pure, evita spiacevoli e sterili polemiche e poi regolati come meglio credi.
  • Ricette Pulecenella: Magnammo, amice mieie, e po’ vevimmo – ‘nfino ca ‘nce sta l’uoglio a la lucerna – Chi sa si all’auto munno ‘nce verimmo – Chi sa si all’auto munno nc’è taverna!
Disse Pulcinella: Mangiamo, amici miei, e poi beviamo – finché c’è l’olio nella lucerna – Chi sa se all’altro mondo ci vediamo – Chi sa se all’altro mondo c’è taverna!
  • Ricunuscènza rima cu’ astinènza.
Riconoscenza rima con astinenza.

È raro che si esprima gratitudine per i benefici ricevuti.
  • Robba ‘e mangiatorio, nun se porta a cunfessorio.
I peccati di gola non si portano nel confessionale.
  • Roppo magnato e vippeto: ‘a saluta vosta!
Dopo (aver) mangiato e bevuto: alla vostra salute!

Una maniera arrogante, impudente di ringraziare: dopo aver mangiato e bevuto, dopo aver fatto con assoluta noncuranza il proprio comodo.

S

  • S’adda fa ‘o pireto pe quanto è gruosso ‘o culo.
Si deve fare il peto proporzionato alle dimensioni del fondoschiena.

Non si devono oltrepassare i propri limiti, non si deve fare il passo più lungo della gamba.
  • S’appiccecane ‘e vajasse e se sgravogliano ‘e matasse.
Litigano le comari e si sbrogliano le matasse.

Nella foga del litigio si perde ogni riserbo e vengono alla luce le cose più inconfessabili.
  • Sanghe e denare se cacciano a forza.
Sangue e denari la forza li cava.
  • Sant’Antuono se ‘nammoraje d’ ‘o puorco.
Sant’Antonio Abate  s’innamorò (fu fortemente affezionato) ad un maiale.

L’amore è cieco e “La bellezza sta negli occhi di chi guarda”.
  • Santu Mangione è nato primma ‘e nostro Signore.
San Mangione è nato prima di nostro Signore.

“San Mangione” è il santo protettore di ogni manifestazione dell’avidità umana, antica quanto l’uomo.
  • Santu Tischitosco cu ‘na penna ‘mmano: ‘o popolo fa ‘e designe e isso ‘e scassa; po’ s’affaccia ‘a dint’a ‘nu fenestiello e dice: «Facìtev’ji’ ‘culo, puverielle!»
San «Tischitosco» con una penna in mano: il popolo fa i progetti e lui li cancella; poi si affaccia da un finestrino e dice: «Lasciatevi buggerare, poveretti!»

“San Tischitosco”, santo di assai dubbia santità, è chiunque, per dispetto, intralci i progetti altrui e, come se non bastasse, dopo averli fatti naufragare si prende anche gioco dei malcapitati.
  • Sciocca a li monti, esce l’arche a” marine, primme èreme a dduie, mo simme trine!
Fiocca sui monti (i capelli si imbiancano), esce l’arco sul mare (il corpo si incurva), prima eravamo in due (le gambe), ora siamo in tre (c’è il bastone in più)!
  • Se cagna ‘a bacchetta, ma ‘a museca è sempe ‘a stessa.
Si cambia la bacchetta, ma la musica è sempre la stessa.

È cambiato chi comanda, ma le cose (non gradevoli) restano come prima.
  • Se lo priesteto sarria buono, ognuno mprestarria la mogliera.Se il prestito fosse una buona cosa, ognuno presterebbe la moglie.
  • Se Marzo ngrifa te fa levà la cammisa.
Se a marzo fa precocemente caldo, sarà tale da farti togliere la camicia.
  • Se Marzo ngrogna te fa zompà l’ogna.
Se marzo mette il broncio ti fa saltare le unghie.

Se a marzo fa ancora freddo, sarà così forte da farti perdere le unghie.
  • Se pigliano chiù mosche cu’ ‘na goccia ‘e mele che cu’ ‘na votta ‘e acito.
Si prendono più mosche con una goccia di miele che con una botte d’aceto.

La gentilezza ottiene molte di più che i modi duri.
  • Se s’abbruscia la casa de lo vecino, curre co l’acqua a la casa toja.
Se va a fuoco la casa del vicino, corri con l’acqua alla tua casa.

Se un evento avverso colpisce i luoghi in cui vivi, preoccupati di proteggerti.
  • Senza l’amaro non se prova doce.
Senza l’amaro non si gusta il dolce.

Non si può apprezzare la felicità senza aver fatto esperienza del dolore.
  • Senza lillèra nun se lallèra.
Parole di pura assonanza, con le quali si vuol dire che senza denaro non si fa nulla.
  • Senza renàre nun se càntano mésse.
Senza denaro non si cantano messe.

Nulla si ottiene senza denaro.
  • Si ‘a fatica fosse bona, ‘e priévete faticassero!
Se il duro lavoro fosse una buona cosa, i preti (che in tutto scelgono il meglio) lavorerebbero!
  • Si Jennaro sta ncammisa, Marzo crepa de la risa.
Se gennaio sta in camicia, marzo crepa dalle risa.

Se il tempo a gennaio è mite, marzo sarà oltremodo freddo.
  • Si ‘o ciuccio nun vo’ vevere, hai voglia ‘e sischià.
Se l’asino non vuole bere, hai voglia di fischiare.

Si usa fischiare per stimolare l’asino a bere, ma quando l’animale non ha sete, è inutile.

È fiato sprecato insistere con chi proprio non vuole fare una cosa.
  • Si ‘o Signore nun perdona a 77, 78, e 79[468], là nce appènne ‘i pummarole!
Se il Signore non perdona ai diavoli, alle prostitute e ai ladri, lassù, in Paradiso, ci appende i pomodori!
  • Spisso drinto no ziro de preta rosteca ce so trovate li tresori.
Spesso in un un orcio di pietra rustica si sono trovati tesori.

Non di rado accade di scoprire in un uomo in apparenza rozzo tesori di intelligenza, saggezza, bontà.
  • Stipate lo milo pe quanne aje la sete.
Tieni da parte la mela per quando hai sete.

Nascondi il dispetto fino al tempo opportuno per la vendetta.
  • Storta va deritta vene, sempre storta nun pò gghì.
Storta va diritta viene, sempre storta non può andare.

A volte accade che proprio un frangente avverso, un insuccesso aprano impensate prospettive favorevoli.
  • Sulo Dio è necessario.
Solo Dio è necessario.

Solo Dio e nessun uomo, neppure quello che eccelle per le sue doti, poiché nulla potrebbe operare senza la volontà di Dio.

T

  • T’aggia’mpara’ e t’aggia perdere.
Ti devo insegnare e poi ti devo perdere.

Il destino del maestro è di perdere il discepolo al quale non ha più nulla da insegnare, perché quello è anche il momento di recidere il legame fusionale che li univa affinché chi ha appreso continui da solo lungo la sua strada.
  • Tale ‘a vite, tale ‘a magliole; comm’è ‘a mamme, vène ‘a figliole.
Tale la vite, tale il tralcio; come è la madre viene la figlia.
  • Tanta vote va la langella dinto a lo puzzo, nzi cance resta la maneca.
Tante volte va la brocca al fondo del pozzo, finché ci resta il manico.
Tante volte si sfida il pericolo sin che s’incoglie in esso.
  • Tanto lampa, affì che trona; tanto trona, affì che chiove; tanto chiove, affì che schiove.
Tanto lampeggia, finché tuona; tanto tuona, finché piove; tanto piove, finché spiove.

Tutte le cose passano e si concludono dopo aver seguito il loro corso.
  • Tiene famme? E datte a morze ‘e mmane! Tiene sete? E datte a morze ‘e ddete!
Hai fame? E prendi a morsi le mani! Hai sete? E prendi a morsi le dita!

Quando i bisogni fondamentali non possono essere soddisfatti, bisogna sapersi adattare a mezzi di fortuna.
  • Tu haie da pavà’ ‘o cienzo a’ morte p”a casa d”o cuorpo.
Tu devi pagare il tributo alla morte per la casa del corpo.
  • Tre centenara so’ stimate: 100 miglia lontano, da pariente; 100 anne de salute; 100 mila docate.
Tre centinaia sono stimate: cento miglia lontano da parenti, cento anni di salute, centomila ducati
  • Tre cose abbesogna sbriga’, subbeto: fiche ammature, pesce muorto; e zetella da marito.
Tre cose bisogna sbrigare subito: fichi maturi, pesce morto e giovane donna in età da marito.
  • Tre cose, chi n’ave assaje, ne fa scafaccio: de denare, sanitate, libertate.
Tre cose disprezza chi ne ha molte: (di) denaro, salute, libertà.
  • Tre cose conzùmano ogni luoco: fuoco, juoco, cuoco.
Tre cose consumano (portano alla rovina) ogni luogo: fuoco (un incendio), (il vizio del) gioco, il cuoco (la gola).
  • Tre cose de n’a bella monaca: paraviso dell’uocchie, purgatorio della vorza, ‘nfiérno dell’anima.
Tre cose (sono proprie) di una bella monaca: (essere) per gli occhi un paradiso, per la borsa un purgatorio, un inferno per l’anima.
  • Tre cose màncano e tre crèscono a li viecchie. Manca la forza; e cresce la volontà. Manca l’appetito; e cresce la sete. Manca cipriano; e cresce la guàllara.
Tre cose mancano e tre crescono agli anziani. Manca la forza e cresce la volontà. Manca l’appetito e cresce la sete. Manca il… “desiderio” e cresce (in sua vece) l’ernia.
  • Tre cose non devono mancare a Napole: farina, feste e forca.
Tre cose non devono mancare a Napoli: farina, feste e forca.
  • Tre cose nun s’annascónneno: ommo muorto, varca rotta e femmena prena.
Tre cose non si nascondono: uomo morto, barca rotta e donna incinta.
  • Tre cose stanno male a lo munno: auciello ‘mmano a nu piccerillo, fiasco ‘mmano a nu tudisco, zita giovane ‘mmano a nu viecchio.
Tre cose stanno male al mondo: uccello nelle mani di un bambino, fiasco nelle mani di un tedesco, giovane ragazza nelle mani di un anziano.
  • Tre P. so’ patrone de lo munno: pazze, presentose, pressarule.
Tre P. sono padrone del mondo: pazzi, presuntuosi, frettolosi.
  • Tre so’ frate carnale: avessevorriamacaro.
Tre sono fratelli di sangue: “avessi”, “vorrei”, “magari”.
  • Tre so li lenguagge de li muonace: damme famme e vamme.
Tre sono i linguaggi dei monaci: “dammi”; “fammi”; e “vammi”.
  • Tre songo ‘e putiente: ‘o rre, ‘o papa e chi nun tene niente!
Tre sono i potenti: il re, il papa e chi non possiede niente!
  • Tre songo le principie naturale: materia, forma e privazione.
Tre sono i pricipi naturali: materia, forma e Privazione.
  • Tre songo le sciorte de l’animale: vegetativo, sensetivo e ‘ntellettivo.
Tre sono i tipi d’animale: vegetativo, sensitivo e intellettivo.
  • Tre bote tre unnece cose fanno bella na femmena: azzoè tre cose longhe e tre corte, tre larghe, tre strette e tre grosse; tre sottile, tre retonne e tre piccole; tre bianche, tre rosse e tre negre: se lo bolite sapere, leìte la fràveca de lo munno…
Tre volte tre undici cose fanno bella una donna: cioè tre cose lunghe e tre corte, tre larghe, tre strette e tre grosse; tre sottili, tre rotonde e tre piccole; tre bianche, tre rosse e tre nere: se volete saperle, andate a leggere la “Fabbrica del mondo…”

Tre cose lunghe: il collo, il busto e le mani. Tre cose corte: il naso, la lingua e il mento. Tre cose larghe: la fronte, il petto e i fianchi. Tre cose strette: la scriminatura dei capelli, le narici e la vita. Tre cose grosse: le braccia, le cosce e le gambe. Tre cose sottili: le dita, i polsi e le caviglie. Tre cose rotonde: gli occhi, il seno e il bacino. Tre cose piccole: la bocca, le orecchie e i piedi. Tre cose bianche: i denti, le unghie e la carnagione. Tre cose rosse: le labbra, le gote e i lobi delle orecchie. Tre cose nere: i capelli, le ciglia e le sopracciglia.
  • Tutta la ruggia ne porta la mola.
La mola porta via tutta la ruggine.

Col tempo e la disciplina tutto si corregge.
  • Tutte diceno ca l’ammore è amaro, ma ognuno vo’ pruva’ se po’ è overo.
Tutti dicono che l’amore è amaro, ma ognuno vuole provare se poi è vero.
  • Tutto po succedere a lo munno fora che l’ommo prieno.
Tutto può succedere al mondo tranne che l’uomo gravido.

Nulla pare impossibile a chi ha lunga esperienza del mondo perché da essa ha imparato che di nulla ci si deve meravigliare, di nulla sorprendere.
  • Tutto ‘o lassato è perduto.
Tutto il lasciato è perso.

Bisogna sempre accettare e godere ciò che di buono può offrire la vita, perché ciò che ci si è perso è perso per sempre.

U

  • U perucchio ca care rént’â farina, aroppo dice ch’è addiventéto farinaro
Il pidocchio che cade nella farina, poi, dice ch’è diventato mugnaio

Si dice di chi è salito in superbia.
  • Una ce ne steva bona, e ‘a facettero Maronna.
C’era una sola donna buona e la fecero Madonna.
  • Una cosa ‘nce vo’ p’essere ricco: o ‘a nàsceta, o ‘o pàsceto o ‘na bbona ‘ncurniciatura.
Una cosa ci vuole per essere ricco: o la nascita, o la crescita o una buona incorniciatura.

Una cosa, anzi tre. 1) La più semplice: nascere ricchi, 2) La più complicata: crescere lavorando duramente, 3) La più agevole: avvalersi, con superiore distacco per l’inevitabile danno alla propria reputazione, della collaborazione di una moglie ricca di belle doti, comprensiva, lungimirante, spregiudicata e disinvolta quanto basta per sacrificarsi… con encomiabile abnegazione all’accrescimento delle fortune familiari.
  • Una lanterna è chella ca fa luce.
Una sola lanterna è quella che fa luce.

Dio è la sola luce che rischiara il difficile e spesso oscuro cammino della vita.
  • Uócchio ca nu’ vvére, còre ca ‘nu ddesìdera.
Occhio che non vede, cuore che non desidera.
  • Uocchio vasce e core cuntrito, ‘a bizzoca vo’ o marito.
Occhio (sguardo) basso e cuore contrito, la bigotta vuole il marito.
  • Uómmene gruosse, «bubbelis est»
Uomini grandi, «bubbelis est»

Le persone di costituzione alta e massiccia sono, in genere, impacciate.

V

  • Va’ chiano, ca vaco ‘e pressa – dicette munzignore a ‘o cucchiere.
Va’ piano perché vado di fretta – disse monsignore al cocchiere.

Chi va piano va sano e va lontano.
  • Vale tanto n’acqua de Maggio e d’Abrile, quanto vale no carro d’oro e chi lo tira
Vale tanto una pioggia di Maggio e di Arile, quanto un carro d’oro e chi lo tira.

Perché il raccolto sarà abbondante.
  • Varva bona ‘nzaponata, è meza fatta.
La barba ben insaponata è già per metà rasata.

Un progetto che sin dal principio è preparato e avviato con la più grande cura è già per metà riuscito.
  • Vene cchiù ad un’ora, che ‘n ciento anne.
variante
  • Vene cchiù ‘ntra n’ora, che’n cient’anne.
Possono accadere più cose in un’ora che in cento anni.
  • Ventre chino canta, no cammisa janca! o Ventre chino canta | e non cammisa ianca.
Ventre pieno canta, non la camicia bianca!
  • Vérola, vìrela e ffùie.
La vedova, guardala e scappa.
  • Vicino mio, specchiàle mio!
Vicino mio, specchio mio!

Come uno specchio il vicino è il nostro costante termine di confronto.

Antico proverbio di Sorrento.
  • Vide ‘e cammena’ deritto dicette ‘o rancio ‘a figlia.
Vedi (cerca) di camminare diritto disse il granchio alla figlia.

Da che pulpito viene la predica…
  • Vieste ceccone, ca pare Barone.
L’abito fa il monaco: vesti bene un villano e sembrerà un gran signore.
  • Vide Napole, e po muore.
Vedi Napoli, e poi muori.

Non si può prendere congedo dalla vita senza aver visto Napoli.
  • Vieste ceccone, ca pare Barone.
L’abito fa il monaco: vesti bene un villano e sembrerà un gran signore.
  • Vino e maccarune songo a cura pe’ permune.
Vino e maccheroni sono la cura per i polmoni.
  • Vótta chiéna, tiéne ‘mmàno.
A botte piena, risparmia.

Quando c’è disponibilità economica è il momento di risparmiare.
  • Vuoje spellate maje tirano carre.
Buoi spellati non possono tirare carri.

Z

  • Zappa ‘e femmena e surco ‘e vacca, pòvera chella terra ca l’angappa.
Zappa in mano ad una donna e solco tracciato da vacca, povero quel terreno che ci capita.
  • Zite e murticielle va truvanno ‘o parrucchiano ‘e Sant’Aniello.
Matrimoni e funerali trova (come pretesto) il parroco di Sant’Aniello.

C’è chi coglie ogni occasione, lieta o triste è per andare in casa degli altri.
  • Zuoccole, e cappiello, e casa a Sant’Aniello.
Zoccoli e cappello, e casa a Sant’Aniello.

Vivi modestamente, risparmia anche sugli abiti, ma prendi casa in un luogo salubre come S. Aniello.

Prenditi cura della salute innanzitutto.

fonte: it.wikiquote.org



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