Proverbi Napoletani – lettera A

Abbiamo  raccolto moltissimi  proverbi e detti napoletani. Qui te li proponiamo in dialetto con la traduzione.



Lettera A

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  • Â altare sgarrupato nun s’appicciano cannele.
Ad altare diroccato non si accendono candele.
  • A barca storta ‘o puorto deritto.
A barca storta il porto diritto.

Non di rado a chi conduce una vita disordinata la fortuna è propizia.
  • A bizzoca è diavulo senza fuoco.
La bigotta è diavolo senza fuoco.
  • A bona campana se sente ‘a luntano.
La buona campana si sente (già) da lontano.

Una persona di autentico valore si riconosce presto.
oppure

I consigli validi provengono da lontano, dalla saggezza degli anziani. La loro sperimentata efficacia è provata dal fatto che si propagano, divenendo patrimonio di saggezza condiviso.
  • ‘A bona parola mògne, ‘a trista pògne.
La buona parola munge, la cattiva punge.

La buona parola produce sempre del bene mentre la cattiva punge e nuoce.
  • A buscia esce ‘ncopp’ ‘o naso.
La bugia esce sul naso.

Pinocchio lo sa bene: le bugie hanno le gambe corte.
  • A cane viecchio zullu zu.
Vezzi moine coccole sono armi spuntate contro il cane anziano, di lunga esperienza, dalla consumata astuzia, rotto a tutti i trucchi. Non inganni, non ti metti nel sacco, non abbindoli tanto facilmente l’uomo esperto; non abboca, non ci casca.
  • A carne ca coce è chelle ca sta chiù vecine all’uosse.
La carne che scotta è quella che sta più vicino all’osso.

Cioè i figli.
  • ‘A carne fa ‘a carne e l’amicizia fa ‘e corna.
La carne fa la carne e l’amicizia fa le corna.

Neppure dell’amico più sperimentato è possibile fidarsi ciecamente se entrano in gioco particolari sollecitazioni – come quelle tentatrici della carne – di fronte alle quali la lealtà più provata può vacillare, sgretolarsi e infine cadere in frantumi; allora i privilegi accordati all’amicizia: fiducia, confidenza, familiarità, assiduità nel frequentare l’amico ed il suo ambiente si trasformano in altrettante occasioni per tradire la fiducia ed approfittarne.
  • A carocchia a carocchia, Pulecenella accerette ‘a mugliera.
Un colpetto dopo l’altro, Pulcinella uccise la moglie.

Una somma di piccoli danni reiterati, col tempo ha un effetto devastante.

Gutta cavat lapidem (La goccia scava la pietra). Proverbi latini 
  • A casa cu’ doj porte ‘o diavolo s’a porta.
La casa con due porte se la porta il diavolo.

Una casa con due ingressi è perfetta per compiere con sotterfugi azioni disoneste, deplorevoli.
  • A casa d”o ‘mpiso nun parlà ‘e corda.
A casa dell’impiccato non parlare di corda.
  • A cavallo ‘e razza nun serve ‘o scurriato.
Con (a) un cavallo di razza non serve la frusta.

Le persone in gamba, intelligenti, intuitive, capaci non hanno alcun bisogno per riuscire di ricevere direttive.
  • A cavallo magro Dio manna mosche.
A cavallo magro Dio manda mosche.

Le disgrazie si sommano alle disgrazie.
  • A ccavàllo jastemmàto le lùce ‘o pilo.
Al cavallo bestemmiato splende il pelo.
A volte, paradossalmente, il maulaugurio produce l’effetto opposto.
  • A ccuóppo cupo poco pepe cape.
In un cartoccio stretto entra poco pepe.

È fatica e tempo sprecato farsi capire dagli stupidi.

Contro la stupidità gli stessi dei lottano invano.
  • A chi pazzèa cu’ ‘o ciuccio nun le mancano ‘e càuce.
A chi gioca con l’asino non (gli) mancano i calci.
  • A chi troppo s’ ‘acala, ‘o culo se vede
Di chi troppo s’abbassa, si vede il sedere.

L’eccesso di umiltà, di arrendevolezza finisce col diventare spregevole e dannoso.
  • A chiàgnere nu muorto so’ làcreme perze.
Le lacrime versate per piangere un morto sono lacrime perse.

Le lacrime non possono richiamare in vita chi è morto.

Non serve a nulla disperarsi se non c’è rimedio.
  • A cicala canta, canta e po’ schiàtta.
La cicala canta, canta e poi muore.

Il lieto vivere senza darsi pensiero del domani si sconta duramente.
  • A collera è fatta a cuòppo e chi s’ ‘a piglia schiatta ‘ncuorpo.
La collera è fatta a “cuóppo” e chi si adira (se la prende) crepa.
  • A coppa ‘o cuoreo esce ‘a correa.
Dal cuoio (lett. da sopra il cuoio) si ottiene (esce) la cintura (così come un utile per se stesso chi amministra, maneggiandoli con una certa “disinvoltura”, i beni che altri gli hanno affidato).
  • A córa è ‘a pèggio a scurtecà.
La coda è la parte più difficile da scorticare.

La cosa più difficile è portare a compimento, ultimare un progetto.
  • A crianza è bona tridece mise all’anno.
La cortesia è buona tredici mesi all’anno.
  • A cuscienze ‘a pastenàiene e nun ascette!
La coscienza la seminarono e non germogliò!
  • A cchi mme rà pane, ie u chiamme pate.
Chi mi dà pane, io lo chiamo padre.
  • A famma fa asci ‘o lupo | da ‘o bosco…
La fame fa uscire il lupo dal bosco…
  • A famma nun tene suonno.
La fame non ha sonno.

Il tormento della fame non permette di dormire.
  • A fatìca d’a fémmena s’a màgna ‘o ciùccio.
Il lavoro della donna se lo mangia l’asino.

L’asino, l’eterno irriconoscente è, agli occhi della moglie, il marito.
  • A femmena bona, si tentata, resta onesta, nun è stata bona tentata.
Se una brava donna resta tale pur se tentata, allora non è stata ben tentata.
  • A femmena ciarliera è ‘na mala mugliera.
La donna chiacchierona è una cattiva moglie.
  • A femmena comme nasce accussì pasce.
La donna come nasce così vive.
  • A femmena è ‘a canzona d”a casa.
La donna è la canzone della casa.
  • A fémmene è comm’au cravone: stutate tte tégne, appicciate tte coce.
La donna è come il carbone: spento ti tinge, acceso ti scotta.
  • A femmena è comm’ ‘o mastrillo aparato.
La donna è come la trappola pronta per essere impiegata (innescata).
  • A fémmene è comme ‘a jatte, scippe pure si ll’accarizze.
La donna è come la gatta, graffia pure se l’accarezzi
  • A femmena è comme ‘o tiempo ‘e marzo: mò t’alliscia e mò te lascia.
La donna è come il tempo di marzo: ora ti accarezza ora ti lascia.
  • A fémmene è culonne, l’omme è fronne.
La donna è colonna, l’uomo è foglia.
  • A femmena è cumme ‘a campana: si nun ‘a scutuleie nun sona.
La donna è come la campana: se non la scuoti non suona.

I sentimenti, l’amore ed il desiderio in una donna vanno sollecitati, destati se si vuole ottenere una risposta.
  • A fémmena mette nu punte a coppe au riàvele.
La donna mette un punto sopra il diavolo; lo batte e lo sorpassa di un punto.

Nella smorfia il diavolo corrisponde al numero 77, la donna al 78.
  • A femmena nun se sposa ‘o ciuccio pecché le stracce ‘e lenzòle.
La donna non sposa l’asino perché le strapperebbe le lenzuola.
  • A femmena senza pietto è ‘nu stipo senza piatte.
Una donna senza seno è come una credenza senza piatti.
  • A femmena tène ‘e malizie ‘nfilate a ciento comme granatelle p’ ‘ogne capillo d’ ‘a capa.
La donna ha malizie infilate a cento come granati per ogni capello della testa.
  • A fissazióne è pèggio d’a malatìa.
La fissazione è peggio della malattia.
  • A forbice è sora carnale d’ ‘a mala lengua.
La forbice è sorella carnale della lingua maldicente.
  • A gatta, che lecca cennere, non le fidare la farina.
A gatta che lecca cenere, non affidare la farina.

Non affidare cose di valore ad una persona indigente o ad un usuraio che divora anche la cenere dei poveri.
  • A gatta d’ ‘e tittole, fotte e chiagne.
La gatta dei tetti, fa l’amore e piange.

Ostentare in modo ipocrita miserie, difficoltà per ottenere vantaggi.
  • A gatta pe’ ghi’ ‘e pressa facette ‘e figlie cecate.
La gatta, per andar di fretta, fece (partorì) i figli ciechi.

Ciò che viene deciso o fatto in fretta non può riuscire bene.

Omnis festinatio ex parte diaboli est. Proverbi latini 
  • A gatta quanno nu’ po’ arrevà’ ô lardo, rice ca fete.
La gatta quando non può raggiungere il lardo (arrivare al lardo) dice che puzza.
  • A légge è fatta p”e fesse.
La legge è fatta per i fessi.

Che ne sperimentano più spesso i rigori, le asperità che i benefici. I desti e potenti dispongono di molte risorse per volgere a loro favore la legge o per farsi valere eludendola abilmente.
  • A legge è eguale pe tutte – recette presutte!
La legge è uguale per tutti – disse prosciutto!
  • A lietto stritto corcate mmiezo.In un letto stretto coricati al centro.
Esortazione alla prudenza per schivare il pericolo a destra e a sinistra: in una situazione difficile bisogna occupare la posizione più sicura.
  • A lo besuogno se canoscene l’ammice.
Nel bisogno si conoscono gli amici.
  • A lo bove morto non fa prode de se le ponere l’erba a lo naso.
Al bue morto non è di alcuna utilità mettergli l’erba (sotto) al naso.

Troppo tardi giunge il rimedio quando una situazione è ormai irreparabilmente compromessa.
oppure

Bisogna prendere atto della realtà sebbene spiacevole, senza ostinarsi a cambiarla se non è più possibile.
  • A lo nfierno è no mutto: Facile è lo descienzo, lo ttornare all’arreto opera perza.
All’inferno c’e un detto: Facile è la discesa, il tornare indietro opera persa.
  • A lu malo metitore le ‘ntóppa ‘a ‘vantèra.
Il grembiule ostacola il cattivo mietitore.

Lo scansafatiche cerca ogni pretesto, anche il più inverosimile, per sottrarsi al lavoro.
  • A lucerna senz’ uoglie se stuta.
La lampada senza olio si spegne.

I sentimenti debbono essere costantemente alimentati
  • A mamma guarda ‘a faccia, a mugliera guarda ‘e mmane.
La mamma guarda il volto, la moglie guarda le mani.

La mamma guarda con gli occhi dell’amore per leggere nel volto del figlio le preoccupazioni che lo affliggono, la moglie guarda con interesse le mani del marito per valutare il guadagno.
  • A mano dritta se serve d’ ‘a mancina.
La mano destra si serve della sinistra.

Talvolta per fare del bene bisogna, con un po’ di spregiudicatezza, ricorrere a mezzi o persone poco limpide.
  • A meglia medicina? «Vino ‘e cantina e purpette ‘e cucina».
La migliore medicina? «Vino di cantina e polpette di cucina».
  • A meglia parola è chella ca nun se dice.
La migliore parola è quella che non si dice.

È sempre più prudente tacere che correre il rischio di parlare incautamente, avventatamente.
  • A meglia vita è chella d’ ‘e vaccàre, pecchè tutta ‘a jurnàta manèano zizze e denare.
La migliore vita è quella dei mandriani, perché tutta la giornata maneggiano mammelle (per la mungitura) e soldi (i proventi della loro attività).

La quintessenza dell’edonismo e del materialismo: il culmine della felicità – nei termini di questa concezione radicale – si attinge occupando l’intera vita nel godimento di bellezze muliebri e nel maneggio continuo di quantità cospicue di denaro.
  • A mmerda sott’â neve nun se vede.
Le deiezioni sotto la neve non si vedono.

La prudenza è necessaria sempre: non pochi sono abili nel nascondere con perfetto mimetismo la loro vera natura sotto le più candide apparenze.
  • A monaca d’ ‘e Camaldule muscio nun ‘o voleva, ma tuòsto diceva che lle faceva male.
La monaca dei Camaldoli floscio non lo voleva, ma duro diceva che le faceva male.

variante:

  • A monaca ‘e Casale: muscio nun ‘o sentèva e tòsto le faceva male.
La monaca di Casale: floscio non lo sentiva e duro le faceva male.

Una persona incontentabile, perennemente insoddisfatta e ipocrita.
  • A morte è ‘na pazzia: stiénne ‘e ccosce e t’arrecrìe.
La morte è quasi un gioco: stendi le gambe e finisci di soffrire.
  • ‘A morte nun tene crianza.
La morte non ha buone maniere.

La morte, inesorabile, ghermisce chi vuole, come e quando vuole, senza tante cerimonie.
  • A morte va ascianne ‘a ccasione.
La morte va cercando l’occasione.
  • A mugliera è cunfessore ‘e notte.
La moglie è il confessore di notte.

Come il sacerdote, la persona con cui potersi confidare certi della sua lealtà.
  • A mugliere è ssiconde pane: vène, tt’accarezze e tt’u leve a mane.
La moglie è (un) secondo pane: viene, ti carezza e te lo toglie da mano.
  • A ‘mmiria smafara lu mazzo.
L’invidia stura il deretano

L’invidia sfoga dal suo stesso culo.
  • A ‘o mumento d’ ‘o besuogno ‘e meglio amice so’ ‘e denare.
Nel momento del bisogno i migliori amici sono i soldi.
  • A ‘o ricco le more ‘a mugliera, a ‘o pezzente le more ‘o ciuccio.
Al ricco muore la moglie, al pezzente l’asino.

Privilegi ed ingiustizie anche nella disgrazia: il patrimonio del ricco non viene diminuito se non è addirittura accresciuto. Il povero, invece, perdendo la sua sola fonte di sostentamento, perde tutto.
  • A palla spaccate fa u meglie seie.
La palla spaccata (cioè il figlio peggiore) fa il migliore «sei» (cioè il miglior punto; ossia la migliore riuscita).
  • A pànza è de pellécchia, cchiù ce miétte e cchiù se stennécchia.
Lo stomaco è molto elastico: più lo riempi e più si dilata.
  • A preta piccerella ‘mmèrteca ‘o carro.
La pietra piccola fa ribaltare il carro.

Mai sottovalutare niente e nessuno: basta un errore, anche molto piccolo, perché venga a galla una lunga serie di malefatte, e nello stesso modo è possibile che una persona apparentemente modesta ed insignificante rovini la reputazione e la posizione di un potente che goda fama di specchiati costumi.
  • A pùppece è comme ‘a pàppece, spertose ‘a capa a ll’uómmene.
Il pube (o la prostituta) è come il tarlo, buca la testa agli uomini.
  • A reto me faje murì’; â nanze me faje fuì’, A reto bene mio; â nanze Gesù e Maria!
Da dietro (quando siamo soli) mi fai morire; davanti (in pubblico) mi fai fuggire. Da dietro “Bene mio”; davanti “Gesù e Maria!”

Appassionata audace e spregiudicata in privato; virtuosa, inaccessibile, irreprensibile coram populo.
  • A Sant’Andulino‘o sole p’ ‘e marine.
Per la ricorrenza di Sant’Antonino, il sole di primavera (già splende) sulle spiagge della costiera.

Proverbio di Sorrento.
  • A sante nu’ fa vute, e a criature nu’ prummettere.
A santi non fare voti e a bambini non fare promesse.
  • A sante viecchie nun s’appicciano cchiù lampe.
A santi vecchi non si accendono più lampade.

Chi da giovane era rispettato perché potente e influente da vecchio – divenuto inutile – verrà trascurato.
  • A tristezza è ll’ombra d’ ‘o diavulo.
La tristezza è l’ombra del diavolo.
  • A vìpere ca muzzecaie a mmuglièreme, murette ‘i tuosseche.
La vipera che morse mia moglie morì avvelenata (di veleno).
  • A vita è comme ‘a scala do vallenaro: è corta e chiena ‘e merda.
La vita è come la scala del pollaio: è breve e piena di merda.
  • A vita è ‘n’affacciata ‘e fenesta.
La vita è un affacciarsi alla finestra.


Breve è la vita, una fugace visione che presto dilegua.

Porpora e rosa: egual destino; belle | fin che durino gocce dell’aurora; | ma che il Padre dei vivi le dardeggi | d’un solo raggio, e vedile avvizzire. | Breve è la vita ai fiori; orgoglio, fasto, | al mattino, e la sera già decade | loro impero e calamità li reca | a trista morte.
  • A vita è ‘n’arapute i cosce e na nzerrate i casce!
La vita è un’apertura di gambe (della partoriente) ed una chiusura di cassa (da morto)!
  • A votta dà chello che tene.
La botte dà quello che contiene.

Alle persone bisogna chiedere solo ciò che sono in grado dare, non l’impossibile.
  • ‘A vutata d’‘o vico, bonanotte all’amico.
Appena svoltato il vicolo, (puoi anche dire) buonanotte all’amico.

E all’amicizia che, labile e mutevole come tutte le cose umane, finisce.
  • Accossì comme vaje tu si tenuto.
Come vai così sei considerato.

C’a sto siecolo tristo | se nnorano li panne | e non se dice cchiù da dove viene, | si non come tu vai. Perché in questo tristo secolo si onorano gli abiti e non si dice più da dove vieni, ma come tu vai.
  • Acrus est! – Te l’haje ‘a vèvere – dicètte ‘o sacrestano.
È aspro! – Te lo devi bere – disse il sacrestano.
Regolamento di conti fra prete e sacrestano che, non sopportando più i maltrattamenti del primo, ha sostituito il vino con aceto costringendolo a berlo durante la messa.

La lezione che ti viene impartita è dura, ma l’hai meritata e devi accettarla. Più in generale: essere costretti ad accettare un male inevitabile, ingoiare il rospo.
  • Ad arvolo caduto, accetta, accetta.
Ad albero caduto, accetta, accetta.

Tutti infieriscono su chi è caduto in disgrazia.
  • Add’amice e add’ ‘e pariente nun ce’ accatta’ e nun ce vennere niente.
Da amici e da parenti non comprare e non vendere niente.
  • Addò c’è gusto, nun c’è perdenza.
Dove c’è gusto non c’è perdita.

Non contano spese o sacrifici, se una cosa è stata fatta con piacere.
  • Addo’ i’ metto ‘a prora, llà n’jèsce ‘o viento 
Dove io drizzo la prua, di la esce il vento.

Non me ne va bene una.
  • Addo’ ‘nce sta ‘o bbene nun se more
Dove c’è il bene non si muore.

Possibile significato: Dove c’è ricchezza, si è più protetti dal rischio di morire per fame o malattie.
oppure

Possibile significato: Nelle famiglie in cui ci si vuole veramente bene la morte non cancella il ricordo delle persone amate.
  • Addo’ nu’ ‘nce trase ll’aco, ‘nce trase ‘a capa.
Dove non entra (passa) l’ago, entra la testa.

Un monito a provvedere tempestivamente alle riparazioni, prospettando le devastanti conseguenze di un lungo rinvio.
  • Aje voglia ‘e mettere rumma, ‘nu strunzo n’addiventa maje babà.
Hai voglia di versare rum, uno stronzo non diventa mai un babà.

Si può camuffare, “confezionare”, ornare, truccare un idiota come si vuole, l’idiozia non ne verrà neppure scalfita. Malgrado tutti gli sforzi prodigati un idiota resta un idiota, sempre identico, sempre riconoscibile.
  • All’anno stuorto, l’uorto; a lo stuorto stuorto, la capra e l’uorto; all’anno stuorto e restuorto stuorto, la capra l’uorto e lu puorco.
All’anno (nell’anno) storto (cattivo) (acquisto) l’orto; in quello storto storto, la capra e l’orto; in quello storto ma proprio storto storto, la capra l’orto e il maiale.

All’accorto contadino, infallibilmente perseguitato dalla sventura, riesce con altrettanto infallibile e mirabile regolarità la conversione alchemica della cattiva, della molto cattiva annata e dello stesso annus horribilis in una vera e propria cornucopia (opportunamente celata sotto un manto di vittimismo).
  • Allìsciate ‘a gnora e stìpete ‘o serviziale.
Tratta con ogni riguardo (lett: liscia, adula) la suocera e tieni pure da parte il clistere.

Diplomazia e salute: un atteggiamento conciliante previene logoranti conflitti, assicura la quiete domestica e, prevenendo possibili effetti avversi a carico dell’intestino, dispensa dal ricorso ai servizi del serviziale. Sopire, troncare.
  • Allonga la via, e va a la casa.
Allunga la strada e vai a casa.

Sii innanzitutto prudente.
  • Ama l’amico co lo vizio sujo.
Ama l’amico con i suoi difetti.
  • Amice ‘a luntano se vasano ‘e mane.
Amici da lontano si baciano le mani, (la costante vicinanza può essere causa di contrasti).

[…] i veri amici si amano e si rispettano anche da lontano.
  • Amice e vino hann’ ‘a essere viecchie.
Amici e vino devono essere vecchi.

Devono essere provati col tempo.
  • Amice povere, amice scurdate.
Amici poveri, amici dimenticati.
  • Amice puverielle, casecavalle perdute.
Amici poveri, caciocavalli persi.

Non bisogna sperare doni da amici poveri.
  • Amicizia e primm’ammore non se scordano maje.
Amicizia e primo amore non si dimenticano mai.
  • Amico pruvato vale cchiù ‘e ‘nu parentato.
Amico provato vale più di un parente.
  • Amicizia stretta stretta, nun te n’jesce nette nette.
Amicizia molto stretta, non te n’esci del tutto a netto.

Non si mantiene un forte legame forte amicizia senza donare nulla, senza cedere nulla, né lo si scioglie senza nulla rimetterci.
  • Amico trase e penza ca cca’ nun se fa credenza, ‘a facette na’ vota, perdette l’amico e nun fuie pavate.
Amico, entra e considera che qui non si fa credito, lo feci una volta, persi l’amico e non fui pagato.
  • Ammico mio cortese, comme aje le ntrate, accossì fa le spese.
Amico mio cortese, come hai (sono le tue) le entrate, così (in proporzione) fai le spese.
  • Ammore ‘e mamma nun te ‘nganna.
L’amore di una madre non può ingannare.
  • Ammore e rogna nun se po’ nasconnere.
Amore e rogna non si possono nascondere.
  • Ammore de patrone e vine ‘e fiasco a sera so’ buono e ‘a matina so’ sciacqua.
variante
  • Ammore de patrone, e bino de fiasco, la sera è buono e la mattina è guasto.
L’amore del padrone e il vino del fiasco: la sera sono buoni e la mattina sono guasti.
  • Ammore nun vo’ bellezza, appetito nun vo’ sauze, l’accattare nun vo’ amicizia.
L’amore non vuole bellezza, l’appetito non vuole salse, il comprare non vuole amicizia.

Il vero amore prescinde anche dalla bellezza, l’appetito non richiede salse o condimenti sofisticati, il comprare non è compatibile con un rapporto di amicizia.[
  • Anema senz’ammòre, sciòre senz’addòre.
Anima senza amore, fiore senza profumo (odore).

Un’anima incapace di amare è arida, sterile come un fiore a cui manca il profumo.
  • Angappa pe primmo! fossero pure mazzate.
Sii sempre il primo a prendere! (acchiappa per primo, non restare mai indietro, sii sempre in anticipo su tutti, fatti sempre avanti per primo), fossero anche percosse.
  • Areto ô monte nce sta ‘a scesa.
Dietro il monte (oltre la vetta) c’è la discesa.

Non scoraggiarti di fronte alle difficoltà perché una volta superate, tutto diventa più facile.
  • Arremedia pe mmo, ca Dio nce penza appriesso.
Rimedia come puoi per ora, che Dio ci pensa dopo.
  • Arrore cummette chi va cercanno ova d”o lupo. 
Commette un errore chi va in cerca di uova del lupo.

Non ha senso cercare l’impossibile.
  • Astipa ca truove.
Conserva che trovi.
  • Astipate ‘o piezzo janco pe’ quanno veneno ‘e tiempe nire.
Conserva il pezzo bianco (un pezzo di pane) per quando verranno i tempi neri.
  • Attacca o ciuccio addò vò o patrone.
Lega l’asino dove vuole il padrone.
  • Aùrie sènza canìsto, fà abberé ca nun l’é vìste.
Auguri senza canestro, fingi di non averli visti.

Un augurio non accompagnato da un regalo va ignorato.

fonte: it.wikiquote.org

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